Mi chiamo Francesca Osella e nel mese di luglio ho passato tre settimane in Danimarca, in particolare una settimana in famiglia e due al Camp B, il cui tema era “Sports, Sustainability and Social Skills”.
Ammetto di non sapere come iniziare questo report, perché la mia testa è così piena di ricordi ed emozioni e tutto risulta un po’ confuso, avvolto in un’atmosfera di nostalgia e felicità, sempre mischiate.
Sono partita l’undici luglio, mezza addormentata alle sei del mattino; ho fatto scalo ad Amsterdam, dove ho incontrato il sorriso di Tommaso, che sarebbe stato nel mio stesso campo, così come Max, elegante come solo lui può essere.
All’aeroporto di Aalborg sono stata accolta dalla mia Host Family e, sembra strano ma è così, mi sono sentita subito a casa. Durante il viaggio in macchina verso Thisted, la cittadina dove ho passato la prima settimana, ho iniziato a scoprire la magia di questa esperienza. Ed era solo l’inizio!
La prima settimana è stata stancante come solo le cose davvero belle e intense possono essere: ho visitato tutto ciò che si poteva visitare, sempre in compagnia di Gitte, Jens e della dolcissima Maja, che si è trasformata in una sorella minore sin dalla prima partita a carte, la prima sera. Ho avuto modo di conoscere ragazzi e ragazze che avrei rivisto al campo e di passare giornate stupende il loro compagnia: prima di tutto Delphine e la sua dolcezza tutta francese, poi Nook e la sua ossessione per i selfies, e ancora Črt e Lia, così come le loro Host Families, una più gentile e ospitale dell’altra. Ho conosciuto la Danimarca, il suo fascino, la sua ospitalità che per nulla si sposa con lo stereotipo di freddezza troppo spesso associato ai paesi nordici, il suo cibo, le sue stranezze, la sua lingua (impossibile!) e la bellezza dei suoi paesaggi.
È stato difficile dirsi goodbye alla fine della settimana, davanti alla porta del campo di Skals, ma dentro di me sapevo che nella vita ci si può sempre rincontrare, ma soprattutto sapevo che una nuova avventura era proprio dietro l’angolo.
E adesso viene il difficile. Il campo. Non ho proprio idea di come descrivere l’uragano di emozioni che mi ha travolta una volta entrata alla Skals Efterskole, ci ho provato più volte al mio ritorno, quando gli amici ti chiedono “e sta Danimarca?”, eppure ogni volta sentivo di non essere riuscita a esprimermi, a dare anche solo una vaga idea di quanto un’esperienza del genere mi abbia arricchita.
Ci provo un’altra volta, perché tanto non mi stanco mai di parlarne.
Il Camp ha qualcosa di magico, quasi si trovasse in una dimensione a sé stante. E proprio in questa dimensione ho avuto l’onore di incontrare persone stupende. Sì, perché le attività sono state fantastiche (tanti tanti sport, un parco divertimenti, la piscina, il tipico Natale danese con tanto di regali, Carnevale e tante altre ancora), ma sono le persone a fare il campo, e io sono stata più che fortunata.
Ho subito capito che il nostro gruppo sarebbe stato un “gran bel gruppo”: avevamo cominciato a sentirci prima della partenza, su Whatsapp, ed era così strano poter parlare davvero con quei ragazzi che fino a quel momento si erano trovati solo nella rubrica del cellulare. Il primo giorno al campo era tutto un risuonare di “Hi! I’m Francesca, from Italy”, “How was your host family?”, “Do you have any brothers or sisters?”, un po’ come esplorare il territorio, con l’agitazione e l’impazienza che solo l’attesa di una nuova emozionante avventura regala.
E poi, e poi c’è tutto il resto. C’è il Team Pizza, io, Federico, Tommaso, Martina e Silvia, una piccola famiglia italiana che un giorno decide di far assaggiare al resto del mondo “quant’è buona la pizza” ed esce dalla cucina del campo con i capelli pieni di farina e con quella soddisfazione tipica del lavoro di squadra. C’è Emmi, che è diventata praticamente una sorella e non sarà la distanza Finlandia/Italia a spezzare il rapporto che si è creato tra di noi. Ci sono Anna e le sue tazze di caffè, troppe per essere contate. C’è Gonzalo con le sue lezioni di spagnolo e i discorsi delle due di notte. Črt, quell’amico che vorresti avere come vicino di casa, e per fortuna che esiste Skype!
Potrei continuare per ore, ma dirò in breve che in Danimarca ho incontrato una seconda grande famiglia, una famiglia che la sera si riuniva intorno al fuoco a cantare, una famiglia che si aiutava qualunque cosa accadesse, una famiglia che in due settimane è diventata parte di me.
L’ultimo giorno ha avuto il sapore delle lacrime, degli abbracci che non saranno gli ultimi, perché prima o poi ci rincontreremo, da qualche parte, in qualche modo. Ce lo ripetiamo ogni sera, durante le group calls, che sono un modo per sentirci un po’ più vicini, quasi fossimo di nuovo tutti seduti in cucina, a bere tazze di tè una dopo l’altra, solo per ritardare il “good night everyone, go to your rooms” di Peter.
Spero di averti dato un’idea, ma l’unico vero modo per capire veramente è vivere questa esperienza. Dire che ne vale la pena è dire poco.
(Ah, ho dimenticato di dire una cosa, porta vestiti pesanti)