Mi sembra ieri il giorno in cui di tutta fretta preparavo le valigie, cercando di mascherare l’ansia e ogni sicurezza ai miei genitori. Continuavo a ripetermi: “Chissà che clima farà a San Pietroburgo, del resto, è pur sempre estate anche là”. Optai quindi per il cosiddetto “abbigliamento a strati”, quello che tutte le mamme consigliano prima di ogni viaggio: un paio di felpe, jeans lunghi e qualche t-shirt, nel caso in cui il tempo fosse stato più caldo del previsto. E così, una volta sistemata con cura ogni cosa, cercai di prender sonno, invano. Mille pensieri mi tenevano sveglia: paura, ansia e una voglia pazzesca di vivere una nuova esperienza, e questa volta da sola.
Dopo quasi 4 ore di volo, arrivai nell’aeroporto Pulkovo, a 16 km da San Pietroburgo. Tra uno sguardo e l’altro, riconobbi Masha, la ragazza che mi avrebbe ospitato per il mio soggiorno in Russia, accompagnata dalla sorella minore, Anna. E la mia avventura ha così avuto inizio. Non saprei nemmeno da dove cominciare a descrivere quest’esperienza che mi ha lasciato così tanto e, al tempo stesso, ha cambiato una parte di me in modo permanente.
Durante il viaggio in macchina verso la dacha in aperta campagna, dove avrei alloggiato per la notte, ricordo che i miei occhi scorrevano da una parte all’altra della strada, tra grandi alberi e graziose case di legno, impazienti di dare inizio a questa nuova esperienza. Una volta arrivati nella casa di campagna, ho avuto modo di conoscere la madre, Irina, i suoi due grandi cani e un’amica di famiglia. Abbiamo così passato la serata a mangiare tutti insieme intorno al fuoco e a raccontare gli uni agli altri qualcosa della propria vita.
Soffermarsi su ogni singolo giorno mi costringerebbe a scrivere un libro, ma c’è stato un giorno in particolare che non dimenticherò mai. Masha mi portò su un attico di un grande edificio, da cui si poteva guardare ogni cosa dall’alto, ad ascoltare alcuni ragazzi suonare il pianoforte. Il sole era ancora all’orizzonte e i suoi raggi abbracciavano ogni angolo della città, nonostante fossero ormai le dieci e mezza passate di sera. Un sole che non tramonta mai. Un paesaggio da lasciare senza fiato.
Due settimane sono letteralmente volate tra abbracci di gruppo della famiglia, passeggiate notturne per la città, musei e risate. Ho fatto esperienze che nella mia vita non avrei mai pensato di fare: partecipare ad una messa ortodossa, raccogliere mirtilli tra gli altissimi alberi della foresta russa, visitare l’impressionante Palazzo d’Inverno e la reggia di Peterhof, assistere alla rappresentazione del Lago dei Cigni a teatro.
Tutto questo ha lasciato un’impronta indelebile sul mio cuore ed ha aperto in me la voglia di imparare qualcosa di più di quella cultura e di quella lingua così affascinanti e diverse dalla mia. Gli abbracci tutti insieme, le chiacchierate, i pomeriggi passati a suonare e a disegnare, la cena a base di pasta al pomodoro (con la quale spero di aver lasciato un bel ricordo dell’Italia) mi hanno fatta sentire parte di una grande famiglia e mi hanno reso in un qualche modo diversa dall’Arianna che era partita due settimane prima, piena di insicurezze e paure. Per non parlare del mio inglese, che, oltre a servirmi ad interagire con tutte le persone che ho avuto modo di conoscere, si è arricchito di un vocabolario più vasto e una maggiore fluidità.
Penso che non finirò mai di ringraziare la mia nuova seconda famiglia russa e tutte le persone, compresa la mia famiglia, che mi hanno consentito di intraprendere quest’esperienza.