Buongiorno, mi chiamo Giulia Dellaferrera, ho 18 anni e quest’estate, grazie al Lions Club, ho avuto l’opportunità di prendere parte ad una fantastica esperienza di scambio culturale in Turchia. I giorni prima della partenza ero molto eccitata e non vedevo l’ora di essere in Turchia, ma nessuna delle mie aspettative si è rivelata all’altezza di ciò che mi attendeva. Cercherò di condividere con voi alcuni momenti che ho vissuto e alcune riflessioni che essi hanno suscitato in me, anche se non è facile trovare le parole per descriverli.
Al mio arrivo all’aeroporto di Izmir è tutto incominciato come si sarebbe poi concluso, ovvero in un modo abbastanza comune per un addio (che in realtà è stato un arrivederci), ma che non mi aspettavo come primo contatto con la famiglia ospitante: un caloroso abbraccio. Da quel gesto e dal viaggio in macchina verso casa loro, in cui cercavano già di insegnarmi il coretto della squadra di calcio locale, ho immediatamente capito che mi sarei trovata benissimo e che mi sarei sentita come a casa mia. Questa intuizione è poi stata confermata dal mio padre turco, che fin dalla prima sera mi ha comunicato che per tutto il tempo del mio soggiorno avrebbe avuto 3 figli anziché 2, poiché mi considerava al pari dei suoi figli naturali. Questi ultimi sono una ragazza di 16 anni, Ilayda, e un ragazzino di 11 anni, Tuna, sempre gentilissimo e molto intelligente, che, come tutti i membri e gli amici della famiglia, si sforzava più che poteva per parlare in inglese, in modo da potermi raccontare pure lui qualcosa di sé e pormi delle domande. Mia sorella turca è stata la persona con cui ho passato più tempo e non pensavo fosse possibile trovare una ragazza, in un altro stato, con una personalità così affine alla mia, senza contare il fatto che, in realtà, ci dicevano tutti che ci assomigliamo molto anche fisicamente e credevano che fossimo davvero parenti. Abbiamo parlato praticamente di ogni argomento, abbiamo condiviso le nostre opinioni, ci siamo consigliate a vicenda e sostenute per quanto riguarda i nostri progetti futuri, abbiamo cantato, ballato, scherzato e riso tantissimo e non la ringrazierò mai abbastanza per come ha saputo farmi conoscere così bene la cultura turca, farmi sentire il suo affetto e farmi vivere 11 giorni stupendi. A dire il vero, non ringrazierò mai abbastanza nessuno di quella famiglia, una magnifica famiglia turca di cui ho conosciuto molti membri, quasi tutti probabilmente, dal piccolo Batu di 2 anni ai dolci nonni, sempre pronti a farmi assaggiare tavolate di piatti tipici, e ognuno mi ha fatto assaporare appieno l’importanza della famiglia, la generosità e l’ospitalità turche, gli aspetti di questo Paese che mi hanno colpita maggiormente. Tanto è vero che, adesso, quando devo dire qual è la cosa migliore della Turchia, per un attimo mi passano per la testa i colorati bazar, la deliziosa cucina, il mare limpidissimo, i paesaggi mozzafiato, la musica con cui non puoi non ballare, l’affascinante arte della predizione del futuro e tante altre cose, ma poi rispondo prontamente e spontaneamente “i turchi”. Oltre ad avermi dimostrato come l’ospitalità sia sacra per loro ed avermi generosamente riempita di regali e amuleti portafortuna per me e i miei cari, mi hanno impressionata per la loro apertura mentale. Infatti, nella zona della Turchia dove ho vissuto, ho potuto constatare come gli abitanti, pur mantenendo con orgoglio le loro tradizioni orientaleggianti, abbiano una mentalità fortemente europea, per cui potevo porre qualsiasi domanda (anche relativa alla religione, alla loro storia etc.) senza imbarazzo e con la sicurezza di ricevere un’esaustiva risposta.
Quando quest’esperienza unica si è conclusa, ne ho intrapresa con entusiasmo un'altra: l’International Camp. In questo camp erano presenti ragazzi di età comprese tra i 16 e i 21 anni e ognuno era pronto a condividere la sua cultura e a divertirsi con gli altri, senza alcun tipo di pregiudizio legato all’età, alla religione, alla nazionalità o a quant’altro, creando un costruttivo scambio culturale ed umano e dei legami di amicizia molto forti. Inoltre, anche al camp, tra l’assaggio di una bevanda ungherese e di un cioccolatino norvegese, l’immersione nella cultura turca è continuata. Ciò è anche stato possibile grazie ad alcune attività proposte dallo staff, ho molto apprezzato la giornata con i bambini poveri provenienti dall’est della Turchia, la visita guidata dell’antica Efeso e la “free hugs activity”, in cui mi sono resa conto meglio che mai di quanto fossimo diventati un gruppo unito e della simpatia dei turchi. Infatti, durante questa attività abbiamo cantato e ballato in una piazza di Kuşadasi coinvolgendo il pubblico che era accorso a vederci e siamo corsi per le strade della città abbracciando chiunque ci trovassimo davanti, dai bambini agli anziani. Credevo che molti si sarebbero rifiutati di abbracciarci, invece arrivando con un sorriso sincero, una felicità incontenibile e un cartello con delle scritte a favore della pace, i rifiuti sono stati davvero pochi, confermando l’incredibile apertura che avevo già notato; così siamo andati avanti per ore, senza volerci più fermare. Penso che questo “senza volerci più fermare” sia significativo per descrivere il camp in generale, perché quando degli sconosciuti provenienti da altri paesi diventano al pari di amici conosciuti durante l’infanzia e, nonostante le giornate molto impegnative, si trova sempre l’energia e la voglia per affrontare ogni attività con sincera gioia tutti insieme, non si tiene più il conto dei giorni che passano e non si vorrebbe che un’esperienza così speciale dovesse finire. Invece, la fine è arrivata, ma se è vero che ogni fine è un nuovo inizio, so che rincontrerò il prima possibile i miei amici in giro per il mondo e la mia famiglia turca. Quindi, come dicono in Turchia per salutarsi “güle güle”, che significa “con il sorriso”, perché non bisogna essere tristi perché un’esperienza è terminata, ma grati e felici per aver avuto l’occasione di viverla!