Tutto è iniziato nel febbraio di quest’anno, quando improvvisamente alle 10 di mattina ha iniziato a suonare il telefono di casa e io, ancora avvolta nel piumone caldo, non comprendevo chi mai potesse chiamare a quell’ora, di domenica tra l’altro. Gli inconfondibili passi di mamma si avvicinavano sempre più alla mia porta: la porta si aprì, mia madre entrò, e con aria soddisfatta e per niente dispiaciuta per aver interrotto il sonno di sua figlia, mi passò il telefono in mano senza dire altro che “E’ per te”, tutta contenta, chissà per cosa mi chiedevo.
E’ stata quella mattina il giorno in cui il conto alla rovescia per una nuova esperienza è iniziato: Wisconsin, USA. Non è certo New York a cui tutti pensano quando dici “America” e nemmeno la tanto famosa California, di cui tutti parlano appena arriva l’estate. Per questo, credo che sia più che perdonabile la mia faccia perplessa appena mi hanno detto a telefono che sarei partita per il Wisconsin. Insomma, sarei partita, ok, ma per dove? In quale parte del mondo sarei finita?
Sono partita da Milano il 2 Luglio, la mattina presto, dopo una nottata completamente in bianco. Sono arrivata a Chicago dopo 8 ore di volo da Londra ed ho trovato lì, ad aspettarmi con un gran sorriso, la mia host family.
Mi guardavo intorno, spaventata (ma non da lasciare la valigia e scappare via verso casa), emozionata e quasi incredula di essere in America……voglio dire, forse ancora oggi credo di non rendermene conto a pieno.
Ho passato la mia prima settimana americana a Chicago perché i miei host parents hanno entrambi i genitori che vivono lì. Ho avuto la fortuna di essere in America per il 4 luglio e ciò significa non solo poter osservare la miriade di fuochi d’artificio per le strade e negli stadi, ma significa apprendere la prima grande lezione del viaggio: essere fieri della propria nazione, sentirsi parte di una comunità che è unita e sempre pronta ad aiutarti, essere orgogliosi di farne parte. Non smettevo mai di stupirmi quando passavo davanti a tutte quelle villette dai giardini perfetti e curati e immancabilmente vedevo sventolare da qualche parte la bandiera americana.
A Chicago ho avuto modo di assistere ad una partita di baseball dei Chicago Cubs nello stadio della città, non distante dal centro (o downtown, come la chiamano loro) e posso dire che è stata la partita più lunga che abbia mai visto in vita mia, ma alla fine ricordo e rimpiango anche quel momento di sofferenza quasi continua sotto il sole caldo.
Ho avuto modo di assistere alla prima dello spettacolo teatrale di Gloria Estefan e sedere tra le prime file per godere al meglio di uno spettacolo magnifico a ritmo di conga e altri balli latino-americani.
E ancora, ho potuto visitare il Millennium Park con le suegrandi installazioni di arte moderna diventate un'attrazione imperdibile e originale per chiunque.
Rimanere a bocca aperta davanti al Cloud Gate, una scultura in acciaio inossidabile che ha la forma di un fagiolo e riflette le nuvole e lo skyline della città. Osservare divertiti la Crown Fountain, una fontana con due torri di vetro alte 15 metri sulle quali vengono proiettati video degli abitanti di Chicago che spruzzano acqua dalla bocca per simulare le fontane tradizionali. Guardare bambini e adulti giocare tranquillamente sotto l’acqua come fossero nella più normale piscina pubblica di questo mondo, attrezzati di costumi e asciugamani.
Poi, il 10 luglio è stato tempo di salutare già alcune persone, consapevole che non le avrei più riviste, nonostante fossi solo all’inizio del viaggio: di nuovo in macchina, destinazione finale Wisconsin.
Con il cuore in gola come fosse l’ultimo giorno, ho salutato la mia host family il 17 luglio e ho iniziato la seconda parte del viaggio, se così si può chiamare: il camp.
Il camp si è svolto in un villaggio vacanze sul lago, circondato da una foresta e composto da una serie di grandi bungalow ciascuno con una decina di letti a castello. Abbiamo trascorso il tempo giocando in spiaggia a beach volley, calcio, oppure nuotando nel lago, navigando in canoa alla ricerca di chissà cosa. Poi vi erano le attività organizzate dai consouler del camp, ovvero ragazzi come noi che erano come degli “animatori” e si assicuravano che ognuno di noi, dal primo all’ultimo, stesse passando al meglio quella settimana. Un giorno, i lions che erano volontari al camp, ci hanno organizzato due pullman per visitare la capitale del Wisconsin, Madison. Abbiamo visitato il Capitol della città, osservato la città dalla cupola e avuto tanto tempo libero per visitarla autonomamente o in compagnia.
E’ così che conosciuto 60 persone venute in Wisconsin da una moltitudine di stati, anche i più disparati come Tahiti e Mongolia, fino a Israele, Cina, Giappone, Olanda, Norvegia, Francia, Spagna, Brasile, Messico e così via. Con ognuno di loro ho condiviso un momento o un sorriso, ho cercato di stare con più persone possibili e non sempre con le solite, così che alla fine della settimana mi sono ritrovata con tanti nuovi amici che non avrei mai immaginato anche solo pochi giorni prima, tanti ricordi da conservare,tanti bei momenti, ma anche tanta nostalgia per dovere di “addio” ad ognuno di loro: insomma, 60 persone sono tante e salutarne una ad una è stata la cosa più difficile di questa avventura. Non nego di non aver potuto trattenere le lacrime.
Pochi giorni dopo mi ritrovavo a dover salutare anche la mia Host family, la migliore che abbia mai desiderato. Ho condiviso con loro tutto il mio mese in America ed hanno reso ciò qualcosa di magnifico. Alicia, la mia host mum, è diventata la mia “seconda mamma oltre oceano” (non si offenda mia madre per questo!) grazie alla sua semplicità, al suo sorriso e alla sua attenzione nei miei confronti come una vera mamma. Abbiamo cucinato insieme piatti italiani e non con la musica “a palla” di sottofondo, abbiamo guardato films sedute sul divano, sotto una coperta, sgranocchiando pop corn e patatine. E abbiamo riso e riso, quasi a crepapelle, andando oltre i piccoli limiti della lingua diversa.
Tutto ciò mi ha aperto gli occhi ed un mondo nuovo perché quando torni a casa dopo un mese di esperienza all’estero ti senti quasi diverso e un po’ più grande di prima. Non riesco a credere che i Lions possano davvero riuscire a regalare certe esperienze a ragazzi di tutto il mondo e questo mi porta ad ammirare ognuno di loro perchè sono la prova vivente e quotidiana che ci sono ancora persone che vogliono fare del bene.
Tutto ciò per dire che è stata forse l’esperienza migliore di sempre e spero che sempre più persone possano provarla almeno una volta: solo allora, potrete capire che non sarà mai abbastanza dire grazie ai Lions.