La mia meta di quest’anno era l’Australia.
Tanto sognata quanto agognata, non vedevo l’ora di partire!
Sapevo che la mia esperienza sarebbe stata particolare: la prima settimana in famiglia l’avrei trascorsa in Tasmania.
Tutto ciò che conoscevo di questa terra era che ospitava i famosi diavoletti ed è stata una piacevole sorpresa scoprire quanto il posto sia incantevole e la gente disponibile. A questo proposito, sono stata subito contattata dalla mia hostfamily in un modo abbastanza curioso: mi hanno telefonato in quella che qua era una mattina di vacanza in maggio, salutandomi con un “buongiorno” strascicato; al che io mi sono spaventata ma poi la situazione si è risolta. Hanno continuato a telefonarmi fino al mio arrivo, per sapere come stavo, la situazione sul terremoto e ovviamente raccontarmi di loro: Howard, Juliet e la loro figlia Harriet, della mia stessa età.
Il giorno della partenza ero già in contatto con Marta, la ragazza che sapevo sarebbe stata al campo con me, per trovarci in aeroporto insieme, e lì abbiamo conosciuto gli altri ragazzi in partenza con noi per i luoghi più disparati dell’Australia: fare una parte del viaggio tutti insieme è stato divertente, date le 21h totali di aereo che mi aspettavano!
A Dubai abbiamo incontrato i ragazzi partiti da Roma, e anche un ragazzo austriaco che sarebbe stato al campo con me, Marta e altri 3 ragazzi italiani. Il viaggio insieme si concludeva a Sydney, con lo smistamento nei vari gates di partenza per i voli interni, aiutati dai Lions del posto.
I miei voli successivi erano per Melbourne e Devonport, nel nord della Tasmania, e li avrei fatti da sola, ma non è stato un problema, poiché ho conosciuto tante persone a bordo con cui parlare. A causa di un ritardo sono arrivata a Devonport con un’ora di ritardo, ma la mia hostfamily mi ha trovata subito: giravano per il piccolo aeroporto con una mia foto!
La sensazione più bella alla discesa è stata trovarmi davanti le colline verdi e nell’aria l’odore nel mare: indimenticabile.
Il jetlag e i 2 giorni di viaggio,però, cominciavano a farsi sentire e quando mi hanno chiesto cosa volevo fare, ho risposto subito: andare a farmi una doccia! Sono stati molto gentili con me: avevo la mia camera, il letto riscaldabile (niente termosifoni in Australia) e Juliet che mi svegliava ogni mattina per farmi abituare ai loro orari. Durante la settimana ho visto l’Italia perdere gli europei (hostdad patito dello sport) i diavoletti, koala, wombati, canguri in un wildlife park, l’oceano con le spiagge dorate, bellissimi tramonti, sperimentato le loro abitudini e incominciato a capire la cultura australiana, che altro non è che un mix di tutte! Ho anche assaggiato il Vegemite, una specie di gelatina spalmabile tratta dal lievito, con cui crescono sin da bambini e patito abbastanza freddo, venendo dall’estate: l’inverno tasmano è simile al nostro e la temperatura si è fatta più mite solo salendo a nord di Sydney per il campo.
Riguardo alle azioni dei Lions clubs, ho notato, qui e successivamente, che molti sono solo per uomini e c’è l’abitudine di portare una pin con scritto nome e incarichi avuti. Il mio hostdad faceva parte di uno di questi club definiti scherzosamente “maschilisti”o “tradizionalisti” e non è che mi andasse proprio a genio l’idea di partecipare a un loro meeting.
Mi sono dovuta ricredere: i “vecchietti” erano tutti simpatici, informali e, tra una birra e la cena con un solo piatto abbondante, molto impegnati nel sociale: costruzione di parchi, donazione di sedie a rotelle, costruzione di facilitazioni per disabili e molte altre ancora; niente a che vedere con le noiosissime cene italiane di 5 portate!
Durante la cena ho dovuto fare una piccola presentazione dell’Italia e sono rimasti molto contenti, essendo prima italiana ad essere stata lì.
L’ultimo giorno quello più commosso doveva essere il mio hostdad, poiché ha tirato fuori magicamente dal garage una Jaguar d’epoca dicendomi che la tiene solo per le occasioni speciali: siamo così partiti io, lui e il cagnolino Benny con meta l’aeroporto di Launceston.
Sono arrivata a Newcastle assieme ad altri ragazzi del campo ad è stata una settimana magnifica, immersa nella natura di uno scout camp sulla spiaggia: attività coinvolgenti, come imparare a tirare un boomerang o suonare un didgeridoo aborigeno, gite nei lughi circostanti, che includevano pure Sydney (città di cui mi sono innamorata), gite in barca, serata discoteca e molto altro. Durante il campo abbiamo anche festeggiato due compleanni, incluso il mio: è stata un’esperienza abbastanza strana compiere gli anni in inverno dall’altra parte del mondo!
Tra noi ragazzi si è subito creata un’atmosfera complice e di amicizia, che volevamo mantenere anche nelle due settimane successive di lavoro volontario.
Purtroppo in questa parte del mio viaggio io e la mia compagna di avventure Mariliis, la ragazza estone, ci siamo imbattute in una hostmum abbastanza pazza e dalla visione ristretta del mondo. Premetto che le due settimane di servizio avevano come scopo mantenere le amicizie nate al campo, svolgere attività utili e intanto vivere la vita della famiglia ospitante. La prima settimana abbiamo verniciato assieme a Topaz, Laura e Hana ogni steccato e panca disponibile all’ Hunter Wetland Center, mentre la seconda si svolgeva nella Blackbutt Reserve dove non c’era molto da fare, per cui il tempo rimasto lo passavamo al centro commerciale o in gita coi responsabili.
La nostra hostmum, Bronwyn, ha cominciato, sin dal primo minuto passato insieme, a lamentarsi dell’organizzazione del campo e delle attività, per fortuna aggiungendo che avremmo passato gli ultimi due giorni con la sua amica Patricia, che si rivelerà una perfetta hostmum. Con ciò non voglio dire che non ci desse da mangiare o un letto: è stato il suo comportamento maleducato, la sua ostinazione a non volerci far lavorare o incontrare altri ragazzi, le sue grida sia verso di noi che verso suo marito, a farci sentire non benvolute nella casa. Nono stante il cambio di famiglia richiesto, questo ci è stato negato, dando la colpa alla nostra immaturità. Personalmente l’ho vissuta molto male, anche perché Mariliis non parlava bene, ma per fortuna ho incontrato persone disposte a darci una mano: Deirdre, l’hostmum di altri tre ragazzi che mi ha insegnato a crescere, Trish, Brian, Brian e Lesh, i responsabili del nostro servizio che ci hanno ascoltate e “nutrite”, Patricia, la nostra ultima hostmum che ci ha portato a vedere i delfini, e Tony, uno dei Lions responsabili che ci ha sempre sostenute. Concludendo, direi che la parte negativa ha influito sì sulla mia esperienza, ma non tanto da impedirmi di viverla, e spero di poter tornare a trovare tutti un giorno.