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ITALIA: what else?

 Quest’estate ho partecipato al “Lions Youth Exchange Program” con destinazione Alberta, Canada. Pur non avendo contemplato questo Paese fra le tre opzioni indicabili (nessuna delle quali era disponibile), sono stata scelta per tale meta perché sede di uno Youth Camp particolarmente adatto a Leo di giovane età quale io sono – e me ne ritengo molto, molto fortunata. Quella del “Waterton Leadership Camp” infatti è stato infatti una delle esperienze più interessanti e coinvolgenti che io abbia mai fatto. 
A differenza degli altri Lions Camps, a questo prendono parte ogni anno sia studenti internazionali che locali: su 43 giovani, noi exchangees eravamo solo 12.
A dispetto del considerevole numero di partecipanti, e del poco tempo a nostra disposizione (solo sei giorni, purtroppo) non è stato difficile per ognuno di noi fare conoscenza (e amicizia) con tutti – e sottolineo tutti – gli altri; ogni attività era organizzata in modo che ciascuno di noi avesse a che fare con persone diverse, appartenendo a più gruppi suddivisi in modo differente: quello della cabina, delle leadership sessions (chiamato con il nome di una delle montagne che circondano il camp), delle attività pomeridiane e del lavaggio piatti. Ad esempio, io dormivo nella cabina 7, partecipavo alle leadership sessions con i membri del gruppo Bellevue, alle attività pomeridiane con il gruppo blu e lavavo i piatti con quello marrone. Inoltre, il posto a tavola ci veniva assegnato ogni volta estraendo da un secchiello il nome del componente dello staff che sedeva ad un certo tavolo.

Questo processo di “conoscenza” è iniziato però in modo molto più diretto e divertente: il primo giorno, appena riposte le valige, siamo stati chiamati a formare un grande cerchio (knowledge circle), insieme ai membri dello staff, per imparare i nomi di tutti; ognuno doveva ripetere il nome e il “talento” dei compagni precedenti e aggiungere il proprio. Essendo in più di 50 persone, il gioco è ricominciato alla metà del cerchio, ma c’è stato qualcuno addirittura capace di ricordarsi nomi e talenti di tutti! Per me è stato particolarmente divertente, perché praticamente nessuno sapeva dire il mio nome...  . Il camp vero e proprio è cominciato il giorno seguente,  con le prime lezioni e attività, tutte funzionali all’obiettivo primario di farci scoprire le potenzialità e la possibilità di diventare dei leaders insite in noi. I temi delle lezioni, complessivamente, erano: la comunicazione, la leadership, le priorità, il pensiero creativo, il potere, la positività nell’affrontare le situazioni, l’empatia, le personalità all’interno del gruppo, la conoscenza di sé e degli altri, la fiducia in se stessi.  Ogni sessione era condotta in modo diretto, interattivo, coinvolgente, e spesso vi venivano raccontate storie di vita vissuta in prima persona dai nostri istruttori, Chris, Kim e Christine. La prima attività pomeridiana è stata la “challenge”, un insieme di giochi e prove con l’obiettivo di rafforzare la nostra fiducia nei nostri compagni di gruppo. Essi sono stati preceduti da un momento di riscaldamento, con esercizi più semplici, come lasciarci sollevare dagli altri sopra le loro teste, sederci l’uno sulle ginocchia dell’altro in cerchio, lasciarci cadere e spingere da una parte all’altra, ad occhi chiusi, in cerchi più piccoli. Le sfide vere e proprie erano invece molto più ardue! Dovevamo uscire da un recinto elettrificato per scappare dai pigmei cannibali (l’ultimo a oltrepassare la corda è stato un ragazzo, Cameron, che si è letteralmente buttato sulle nostre braccia!), portare una gemma preziosa dall’altro capo di un percorso tortuoso senza toccarla, attraversare la tela di un gigantesco ragno senza chiuderne le aperture, sciogliere bendati i nodi di una corda e poi formare un quadrato, stare tutti in piedi su un piccolo cerchio di legno. Mi ha dato una grande soddisfazione superare queste prove insieme ai miei nuovi amici – oltre ad essermi divertita moltissimo! Le attività pomeridiane dei giorni seguenti sono state invece una passeggiata per le montagne, fino al villaggio di Waterton, una cavalcata e un’escursione in barca fino ad oltre il confine con gli Stati Uniti. Alla sera, dopo cena, c’erano le presentazioni delle città (anche delle più piccole!) o dei Paesi dei vari partecipanti. Dopodichè ci dividevamo nei gruppi di lavaggio piatti, ognuno con un membro dello staff come capogruppo, per discutere a proposito della giornata trascorsa, che concludevamo poi riunendoci attorno al fuoco a cantare, chiacchierare e giocare. La chiusura vera e propria spettava a Tony (il mio hostfather, che insieme a Kim coordinava il camp), il quale proponeva alcune riflessioni molto profonde.  L’ultima sera, però, è stata diversa: siamo andati a ballare alla Barn Dance, una sorta di discoteca in un fienile. A me è piaciuta molto di più delle discoteche normali, perché ci siamo andati per divertirci in compagnia in modo semplice e spontaneo, non per metterci in mostra – cosa che non potevamo certo fare, indossando tutti delle larghe magliette color arancione fosforescente!  Credo che ciò che ho imparato mi sarà utile in questi anni di università, in quanto tutto ruotava intorno all’importanza di conoscere se stessi e di sapersi rapportare con gli altri. In particolare ho trovato molto significative le esperienze di vita vissuta che i nostri accompagnatori hanno voluto condividere con noi, Kim soprattutto. Ci hanno dimostrato come è veramente possibile superare le difficoltà della vita scegliendo di avere fiducia in noi stessi, di accettarci come siamo, di essere positivi. I loro discorsi ci lasciavano ogni volta a bocca aperta, commossi a volte, e ci riscaldavano il cuore. Il momento più significativo è stato quello del friendship circle, alla fine del camp: come il primo giorno, ci siamo riuniti in cerchio, ma questa volta per rendere gli altri partecipi delle nostre impressioni sul camp. Ognuno, a turno, andava al centro del cerchio e cominciava a parlare, nella commozione generale. Per tutto il tempo ci siamo scambiati  grossi, affettuosi abbracci. Sembra impossibile che in soli sei giorni siamo stati in grado di fare amicizia fino a questo punto, ma è così. Non avendo tempo per ringraziare tutti personalmente, ognuno era libero di scrivere delle happy notes, dei piccoli biglietti personali da inserire nella happy bag del destinatario: tutti ne avevamo una, appesa in sala da pranzo. Ogni tanto le tiro fuori e le leggo... Abbiamo trascorso questo pochissimo tempo sempre fianco a fianco, aiutandoci a vicenda, condividendo spazi, idee, risate, momenti di lavoro, relax e divertimento. In tal modo abbiamo imparato a guardarci dentro con altri occhi, talvolta a riscoprire una fiducia in noi stessi mai provata prima, ad essere felici di ciò che siamo. È stata per tutti una grande emozione sentire queste parole ripetersi.  Ognuno di noi era stato scelto per partecipare a questo camp perché qualcuno vi aveva intravisto delle doti di leader, ancora nascoste. Le abbiamo scoperte, abbiamo provato insieme a metterle in pratica: ci siamo sentiti orgogliosi, importanti, utili a qualcosa di più grande.  Non mi sembra il caso di soffermarmi a raccontare del periodo passato presso la mia hostfamily – che comunque è stato divertentissimo e interessante, perché tutto per me era nuovo e grande – se non per spendere due parole a proposito del Lions Club North Hill di Calgary, di cui è membro il mio hostfather. Ritengo che sia da prendere d’esempio, in qualche modo. In primo luogo, questo club partecipa alla vita della comunità in modo propositivo, attivo, entusiasta, oserei dire giovanile (data l’età tipicamente lionistica della maggior parte dei membri). Ogni anno, in occasione dello Stampede (una grandissima fiera di prodotti agricoli e manifestazioni tipicamente “cowboy”, che ho avuto l’occasione di vedere) organizza una grande lotteria di beneficenza, detta “Pot o’ Gold”, con grandi premi (anche macchine, camper, cose così), il cui ricavato è tale  (sui 200.000CND) da permettere di finanziare molti progetti benefici e di ridurre la quota d’iscrizione al club ad una cifra irrisoria. Ho guardato piena di ammirazione la passione e la dedizione con cui queste persone, tutti i membri del club a turno (più le loro famiglie), si davano da fare in prima persona per la buona riuscita del progetto: c’era chi vendeva i biglietti in vari punti della fiera, chi teneva scrupolosamente la contabilità (tra cui un anziano signore sordomuto, ma simpaticissimo, che comunicava scrivendo), chi distribuiva materiale informativo Lions, chi procurava il caffè e qualcosa da mangiare a chi era impegnato, e molti altri. Era palese che ognuna di queste persone era orgogliosa e felice del proprio impegno a favore del club. E questa è solo una delle tante attività in cui questo club si impegna ogni anno.Non so molto a proposito dei destinatari di tali iniziative. Di per certo so che esso ha acquistato delle case, che ha messo a disposizione di una comunità di anziani. Ogni estate, inoltre, due exchangees vengono finanziati dal club per partecipare appunto al Waterton Leadership Camp, e l’anno successivo al camp Lorenzo Baldoni in Italia (viaggio e cospicua somma di pocket money inclusi). Chiunque riceva aiuto dal club, comunque, deve presentare delle relazioni, che ne provino il fruttuoso impiego. In tal modo, il club interagisce ancor di più con la comunità e, soprattutto, con i giovani, nei quali riveste grandi speranze e in cui cerca con dedizione di infondere i valori del lionismo.

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