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ITALIA: what else?

Giorno 12 luglio 2014: inizio di una delle esperienze più preziose e formative che mi sia mai stato fatto il dono di vivere. La sveglia ha suonato alle 8 meno un quarto, un orario tutto sommato normale che non lasciava nemmeno presagire l’importanza della data… dopo una bella doccia fredda e gli ultimi ritocchi ai bagagli, con babbo e zio ci siamo messi “in marcia” verso l’aeroporto Marconi di Bologna dal quale sarei partito per Copenhagen alle 11:40, dopo il check-in ho salutato i miei accompagnatori (necessari vista la mia minore età) e son entrato in duty free, abbastanza rilassato e tranquillo, più di quanto mi aspettassi di poter essere, rallegrato dall’aver superato gli svariati controlli con peso in eccesso nei bagagli (tanto valeva tentare…), ho raggiunto il mio gate, il numero 9, e ho atteso leggendo, come se stessi aspettando di entrare in classe… mah… durante l’attesa ho incontrato un’altra Lions Youth Exchange Student, Federica, di Ravenna, con la quale avrei condiviso il primo aereo e che si sarebbe fermata nella capitale danese, prendendo parte al campo A dopo la settimana in famiglia. Il primo viaggio è letteralmente “volato via” tra qualche pisolino post lettura e qualche parola con il mio vicino Bryan, da Singapore.

Il secondo volo per Aalborg mi aspettava a dieci minuti alle tre e mi pare di ricordare di averlo preso con un po’ di fortuna, non perché il tempo per il cambio fosse troppo breve, semplicemente per il fatto che quasi mi sono perso, non avevo mai dovuto passare più di trenta gates in uno stesso aeroporto!

Aalborg é arrivata in un baleno, più o meno il tempo di un sogno… (agli arrivi) Lene, la mia “mamma” per la settimana successiva mi stava aspettando con Youssef, il ragazzo tunisino con il quale avrei condiviso la mia homestay; saluti e presentazioni son stati un momento particolare, quasi di studio reciproco piuttosto che di sorpresa ed affetto (a mio avviso una circostanza comprensibile quanto naturale).

In un’oretta abbiam raggiunto Viborg, la piccola cittadina dove la famiglia Bendix mi avrebbe ospitato; son stato accolto in casa, il luogo dove una famiglia vive la sua più intima esperienza di amore e condivisione, con grande calore e umanità (che francamente mi hanno sorpreso), dopo una prima chiacchierata davanti ad un tè caldo, nella quale abbiamo sbrigato le formalità, ho potuto, con grande piacere, contribuire alla preparazione della cena che poco dopo abbiamo consumato con gran gusto!

La prima serata non è stata ciò che si definirebbe “emozionante”, più che quella conversazione di argomento politico, che in quei giorni sarebbe divenuta consueta, con Søren ed il solito ed onnipresente caffè, non ha previsto… Sicuramente meritevole però è stata l’attesa della notte nella mia stanza ad ammirare i due laghi di Viborg che hanno restituito raggi al sole fino alle undici almeno (giornate così lunghe un po’ mi hanno scioccato, devo dire la verità!).

Una breve introduzione sui miei “genitori ad interim”: Lene lavorava (e lavora) nel settore della pubblica amministrazione per il governo, mentre Søren è in pensione da alcuni anni dopo un’esperienza in svariati settori, principalmente l’ingegneria meccanica; la famiglia Bendix ha vissuto in Nepal per gran parte dell’adolescenza delle due figlie, ora entrambe sposate, per esigenze lavorative di Lene, per poi tornare in Danimarca e trascorrervi quello che Søren mi ha dipinto come “the time of our life”; Søren svolgeva le faccende di casa guadagnandosi il titolo di “House Boy”, cucinava, puliva e costruiva arnesi che potessero facilitargli l’opera, dei quali ho fatto personale esperienza, e posso confermare che funzionassero! L’atmosfera in casa era distesa e conciliante, nessuna tensione da stress, nessuna pressione dettata dagli orari (tanto che si mangiava quando capitava) e assolutamente nessuna fretta… quando, prima di partire, i danesi mi erano stati dipinti come persone pigre non ci avevo creduto, beh… ora qualche dubbio me lo son fatto venire…

La prima parte della settimana in famiglia è trascorsa in maniera tranquilla e rilassante (forse a tratti anche troppo…): tra sporadiche visite a musei e luoghi di interesse naturale, una giornata di babysitting alla nipotina Ågnes e assolutamente non rare sedute di shopping in centri commerciali e negozi di articoli sportivi, confrontando Søren e Lene presi dalla foga di rinnovare l’arredo della casa al mare e Youssef guidato dalla voglia di non far chiudere la sua valigia, non so decretare un vincitore… Due delle serate a Viborg ho avuto la fortuna di potermi gustare le finali della Coppa Del Mondo di calcio di Rio, che ascoltate in danese e commentate con i mie “compagni di visione” in inglese hanno avuto un sapore unico!

Intorno a metà settimana abbiamo traslocato alla casa al mare di Virksund, dove il fiordo era la cornice perfetta di ogni momento; ho assaggiato il gelato danese (generalmente tutto fatto con panna sulla quale vengon messe le più svariare diavolerie, dalla liquirizia, alla cioccolata ad alcune spezie), ho fatto kayak di coppia nel fiordo (non mancando di picchiare la pagaia in capo a Søren) e son riuscito a vedere un mercatino dell’antiquariato unico nel suo genere, per le strade del paese, che viene fatto per un solo fine settimana all’anno, che il caso ha voluto coincidesse con quello durante il quale mi trovavo giusto nei paraggi… la passeggiata sulla spiaggia e nei boschi dell’ultima serata è stata la conclusione più azzeccata per l’esperienza che è stata, ciò che metterei su una cartolina, ciò che ne diverrebbe copertina se ne dovessi fare un’album.

Il 19 luglio era giunto il momento di salutarsi, Youssef ed io avremmo raggiunto al camp B quelli che sarebbero divenuti compagni di momenti che, ora me ne rendo davvero conto, non sarebbero mai più tornati indietro, i saluti son stati un momento abbastanza triste, ma nemmeno troppo, in quanto li abbiam vissuti con la consapevolezza che Danimarca e Italia non sono poi così lontani, se a sopravvivere fosse stata la volontà di rivedersi. 

Al campo da subito si è capito che sarebbero state due settimane interessanti, quarantadue persone (responsabili e campleaders compresi) da 23 paesi diversi, direi che “è tutto un programma”!

I primi giorni al campo se ne son andati fra attività di conoscenza, partite a calcio (che sarebbero state un must onnipresente) e giochi fra i più svariati, e in un nonnulla il 2 agosto è arrivato…

Parte dei giorni al campo li abbiam trascorsi all’interno ballando(soprattutto ballando!), discutendo, giocando e anche “semplicemente” godendoci i momenti che come ho detto nessuno ci avrebbe mai più restituito; il resto del paio di settimane se n’è andato fra giornate al mare, in parchi divertimento e parchi naturali. 

Al contrario di quanto si possa pensare, le giornate non son volate via facendomi arrivare alla fine del campo immemore del tempo trascorsovi, non perché non mi sia divertito, ma perché ciò che tutti abbiam provato a fare, su consiglio del nostro campleader G, è stato aggrapparci ad ogni momento insieme, ad ogni parola uscita dalla bocca degli altri compagni, che ce ne raccontava la storia, che parlava di una cultura, di popoli, di idee, condivise o meno non ci doveva importare! Tutti uguali, tutti ricchi dei momenti trascorsi assieme, tutti poveri di sufficienza nei confronti del prossimo, tutti in guerra con il tempo che passava, svegli oltre l’orario permesso per impedire che un altro giorno divenisse parte del passato, desiderando che fosse parte di un eterno presente (e in uno stato di coma profondo la mattinata successiva , umani siamo anche se giovani…); tutti rifugiati da una vita fatta di più o meno opprimenti consuetudini, in cerca di momenti degni di esser ricordati e di divenir parte dei ricordi che ognuno più gelosamente custodisce! La cosa più importante: tutti nello stesso gruppo, a perseguire uno stesso scopo, che alcuni chiamavano “cogliere ogni opportunità”, altri “migliorare il proprio inglese” e altri ancora “semplicemente divertirsi”, ma che in fondo può esser a ragione “CRESCERE INSIEME”! 

Tra i punti del programma che più meritano di essere ricordati sicuramente c’è il nostro magnifico flashmob a Fjerritslev, completo di danze, canti e qualche divertente gag, manifestazione che ci ha fatto conquistare due quasi intere pagine sul giornale locale, e presumo abbia contribuita alla già considerevole visibilità del Lions Club in quei territori.

Dopo una settimana al campo è stato il momento del midway party con tutte le host families al campo in nostra compagnia per ascoltare le presentazioni dei nostri paesi di provenienza.

La seconda settimana è trascorsa sull’onda dell’entusiasmo della prima, regalandoci sempre più intimi momenti, favoriti dal progresso della nostra reciproca conoscenza.

L’ultima giornata è stata quella del mio compleanno, il mio 18esimo compleanno, un evento che dal giorno dopo il mio 17esimo avevo iniziato a chiedermi come rendere speciale, e casualmente questo viaggio ha provveduto anche a questo… la giornata è iniziata con la canzoncina di auguri a mezzanotte, come se tutti stessero aspettando quel momento, e nessuno che non sia io può immaginare come mi sia sentito nel rendermi conto che trentanove persone conosciute solo tredici giorni prima stavano facendo tutte assieme qualcosa, solo ed esclusivamente perché desideravano farlo, per me! Questa del mio compleanno è stata una giornata di quarantotto ore, nel senso che né quella notte né la successiva abbiamo dormito, per festeggiare da una parte e perché non ci fosse nulla da rimpiangere dall’altra, cercando di avere tutto ciò che si poteva da quei momenti, e probabilmente qualcosa comunque ci siamo persi…

Sul 2 agosto desidero stendere un velo pietoso, credo che di giornate più tristi ne abbia vissute poche, nonostante gli inviti ricevuti per 22 paesi nei diversi continenti, le foto sotto le bandiere, i momenti in aeroporto a fare le gare di velocità con i carreli dei bagagli, sorridere era difficile, di pensare solo ed unicamente a sorridere, senza ricordarsi che quello sarebbe stato uno degli ultimi momenti che con quella persona avresti potuto vivere senza l’incognita delle difficoltà nascoste nel futuro, non ne sono stato in grado… 

Di positivo sicuramente tutto ciò che abbiamo condiviso, i sorrisi, la rabbia, gli errori, la nostalgia degli amori a casa, i problemi di ognuno di noi e i suoi talenti… davanti a questa titanica mole di esperienze e intimità di ognuno di noi, magari la location sarebbe stata abbastanza ininfluente! La Danimarca in ogni caso è degna di rispetto per le sue bellezze (in generale), la sua umanità e il senso di casa che in fondo a chiunque riesce a dare, con quell’atmosfera distesa e tranquilla, quanto severa ed esigente, che fanno rilassare sì, ma che fanno anche esser consapevoli che all’evenienza l’impegno è la cosa più apprezzata.

La frase con la quale ci siam tutti salutati, suggeritaci da quella grande persona che si è dimostrata essere il nostro campleader G., è “The world is not that big guys! Just trust each other and dream can become real, the world needs crazy people, ‘cause they are the ones who can change it!”, perciò auspico chiunque di noi possa esser tanto pazzo da perseguire questo sogno, in modo da poter vivere anche solo un’altro di quegli attimi… (butterfly dreamer team)

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