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ITALIA: what else?


Non ero mai stato seriamente all’estero. Avevo sempre frequentato quei luoghi massificati e insipidi che livellano mondi e culture diverse sullo stesso banale standard. Hotel e ristoranti del tutto analoghi a quelli del quartiere dietro l’angolo, anzi, con il ridicolo tentativo di offrire quella controllata punta d’esotico che fa ammiccare il turista. Quando mi fu proposto questo Scambio in Finlandia sentii che era l’opportunità per cimentarmi in qualcosa di nuovo e intenso. Ero naturalmente pieno di dubbi e incertezze, ma d’istinto accettai. E feci la scelta giusta.Partii il 13 luglio non senza una certa turbolenza interna. Non tanto per il viaggio in aereo – ci si aspetta sempre chissà cosa, invece fu estremamente tranquillo – quanto per ciò che stavo per intraprendere. Per una strana coincidenza, la Finlandia mi aveva sempre affascinato. Forse per l’idea che se ne ha nell’immaginario collettivo: una terra selvaggia, ma abilmente ammansita dall'uomo. Un clima rigido e inclemente che però è l’altra faccia di una delle società più avanzate del Continente.

Insomma, l’opposto della nostra cara Italia. All’aeroporto mi accolsero quei simpatici vecchietti (due ex docenti universitari arzilli e pieni di grinta), che mi avevano scritto in un inglese che aveva fatto impallidire le mie stentate frasi. Dopo poco arrivarono anche Vittoria e Natalie, l’una italiana (con una spassosa parlata lombarda) e l’altra tedesca. La loro casa si trovava nella zona residenziale di Regola, una cittadina di ventimila abitanti a poco più di venti chilometri da Helsinki. Era molto accogliente e comprendeva due appartamenti distinti ma comunicanti. Ci sistemammo nel secondo (apparteneva prima ai genitori). Subito tra di noi nacque una spontanea e affettuosa amicizia.Durante la settimana in questa prima famiglia ebbi modo di capire cosa significasse vivere in un Paese dove il sole tramonta alle undici di sera per poi sorgere alle tre di notte.


 Eravamo tutti disorientati, e forse per questo i nostri ritmi biologici ci facevano avere sempre fame. D’altronde ancora adesso non dimentico le colazioni che Riitta, la moglie, ci preparava. I giorni seguenti conoscemmo i suoi figli e i tanti nipotini, in particolare la simpaticissima Sara. Provai la sensazione di un’atmosfera familiare serena e rilassata, senza aspettative su di noi se non il gusto di conoscerci e farci sentire a nostro agio. Una mattina decidemmo di andare ad Helsinki. Purtroppo non potevamo essere accompagnati, allora ci facemmo spiegare che treno prendere e come muoverci in città. Sinceramente nessuno di noi capì tutta la spiegazione, ma non ci sembrava cortese chiedere di ripetere. Così durante il tragitto in treno cercammo di capire come orientarci, e alla fine optammo per seguire i consigli del sito Lonely Planet. Ci consigliò di raggiungere una piazzetta che dava sul mare. Lì mangiai uno dei migliori salmoni arrosti della mia vita. Quindi visitammo un museo di arte contemporanea davvero particolare.Un altro pomeriggio andammo (stavolta insieme a Riitta) ad un’esposizione sul corpo umano interna ad un polo scientifico. Altri giorni restammo semplicemente a casa, oppure girammo per il centro della cittadina. Il modo di fare calmo e pacato dei due coniugi dava ad ogni cosa una lentezza intrinseca e la faceva apprezzare e gustare meglio. Provavo un senso di gioia nel non avere ritmi o scadenze precise, non avere piani prestabiliti, ma poter decidere ogni giorno cosa fare o non fare.

Ritrovai questa splendida atmosfera anche nella seconda famiglia ospitante. Vivevo un senso di libertà che è difficile provare in Italia. Sperimentai l'indipendenza dei ragazzi, e al tempo stesso non tanto dei genitori permissivi, ma che semplicemente ritenevano normale che i loro figli si arrangiassero e si assumessero le loro responsabilità. Trascorsi questa seconda settimana in compagni di Katri e Juho, i due figli della famiglia (c’era anche la figlia più grande Asta, ma non ha passato molto tempo con noi), Tugce, dalla Turchia, e Ivana, dalla Serbia. Passai improvvisamente da una tipica casetta finlandese di periferia a una grande casa completamente immersa nel fitto di un bosco. Si trovava più a nord, una settantina di chilometri da Helsinki, lontana da qualsiasi centro abitato e distante dalle grandi vie di comunicazione.Anche in questo caso i genitori erano due docenti, ma già dall'accoglienza capii che erano profondamente diversi. Ci chiesero di aiutarli nello scaricare la legna per l'inverno, mentre soffiava una fresca (fredda) brezza. Molto pratici e dal carattere esuberante, eravamo continuamente in spostamento tra la casa e il cottage estivo, a una dozzina di minuti in macchina. La cosa che più mi sorprese fu appunto la grandezza di questo famoso cottage (ne parlavano sempre). Mi aspettavo la tipica casetta che puoi affittare al mare, invece era una vera e propria casa, persino più grande di quella vera. Appena vi entri sentii il forte profumo del legno nuovo, e mi abbagliò la vista del lago lì vicino. Non ci muovemmo molto in quella settimana, ma ci furono ugualmente dei momenti magici. Ricordo con emozione le serate (nottate correggerei) passate tra la sauna bollente e i tuffi nel lago. Provai per la prima volta a manovrare una barca a remi, e l'ultima sera (indimenticabile) ci lanciammo i gavettoni nel vicino campo da golf, sotto gli spruzzi degli immensi idranti che lo bagnavano.Eravamo un bel gruppo, sereno e pieno d'entusiasmo per le tante cose che facevano insieme. Vi era quella passione autentica di emozionarsi per ogni cosa e volerla vivere fino in fondo.Lasciata a malincuore questa seconda famiglia, mi recai al camp di Porvoo, lungo la costa non lontano da Helsinki. Questa volta il paesaggio era intermedio tra la cittadina della prima settimana e il fitto bosco della seconda. Le casette in cui dormivamo si trovavano in riva al mare, e il tramonto del sole sulla superficie dell'acqua, la sera, era sublime.Senza nulla togliere alle due famiglie, devo confessare che l'esperienza al camp fu così intensa e straordinaria che ancora adesso non sono del tutto abituato alla quotidianità italiana. Non trovo le parole per descrivere il clima di affiatamento e complicità che si creò con i ragazzi. Nel corso di quella (brevissima) settimana disimparai a parlare l’italiano e comincia a pensare realmente in inglese. 
Ciò che più mi colpii fu la semplicità con cui ragazzi da tutto il mondo vivessero così intensamente l'esperienza, senza mai vedere la diversità reciproca come un limite, ma anzi, condividendo ciò che li contraddistingueva. Molto potrei dire delle diverse (e splendidamente organizzate) attività che facevamo ogni giorno, ma non potrò soprattutto dimenticare il legame che si creò tra di noi. Consapevoli che quella era una fugace parentesi tra vite del tutto diverse e distanti, non cademmo in facili ipocrisie, ma cercammo di raccogliere quanto più quest'esperienza poteva darci. Personalmente ero partito con poche certezze, e tornai a casa senza nessuna. Tornai azzerato, ma anche come emendato dal superfluo. Non vedo l'ora di ripartire per qualsiasi altra meta per vivere un’esperienza del genere.
Per concludere vorrei ricordare un aneddoto che mi fece molto pensare. 
Al momento della partenza qualche lacrima (velata o evidente) scese a tutti. Quella che di certo non si trattenne fu una ragazza turca. Con altre due ragazze aveva formato il gruppo più solido e divertente. Non c'era un momento che non ridessero insieme e facessero ridere tutti noi. Solo in aereo mi resi conto delle loro diverse nazionalità: lei turca, una tedesca e l'altra israeliana. Insomma, possiamo avere fiducia nel futuro.