L’esperienza di viaggiare all’estero, da solo, in pieno possesso della propria responsabilità, lontano dalla famiglia e ospitato da un’altra famiglia, è un qualcosa di veramente speciale. E faccio fatica a trovare un aggettivo diverso da questo: servirebbe una parola migliore per descrivere questa esperienza più approfonditamente, una parola attraverso la quale mostrarne le diverse sfaccettature.
Parto per la Finlandia il 18 di Luglio alle diciassette del pomeriggio, da Malpensa, così grosso, così dispersivo, così incatenato: non sembra neppure un aeroporto, sembra più un qualcosa che da lì a un attimo potrebbe scomparire. L’aereo è piccolo, tranquillo, modesto, di Finnair, e della mia destinazione ne sento già la presenza, dai capelli biondissimi e dagli occhi celesti delle operatrici di bordo, dal sapore della carne e delle patate bollite che mi servono durante il viaggio, che mi fanno avvicinare al Nord, a quegli stereotipi propri della Russia e dei popoli del grande freddo.
Ho veduto una dirompente e maestosa luna cristallina, che si stagliava nel cielo di Helsinki, e poche dolci stelle che le tenevano testa, in quella notte dai colori dell’alba, ancora prima della mezzanotte, appena arrivato. E dall’aereo ho ammirato oscuri laghi che parevano colate di petrolio lucido, ed austeri abeti ovunque, che sembrava mangiassero i confini delle città, che sembrava aspettassero qualcuno che dalle città uscisse. Si, la città sembrava circondata e cinta da ogni parte come da nemici, e per i suoi cittadini sembrava non ci fosse speranza di fuga.
E di questo ho avuto prova quando della Finlandia sono stato ospite sulle sue terre.
I profumi del mattino, quelli degli abeti umidi, del muschio sulle rocce, dei funghi fra gli aghi, del bruciato che poi di bruciato non si tratta, ma che la prima sensazione che ti dà è quella e invece, respirandolo bene, è un qualcosa di più profondo, di più antico, di più complicato, che ti mette felicità, e sembra ti rigeneri.
Delle rose canine, bianche e rosa, stracolme di boccioli e fiori, le stesse che da noi troviamo ai piedi delle Alpi, che ti inebriano fino alle punte delle mani, del cui profumo non ti puoi stancare e che trovi in tutte le aiuole e sui bordi delle strade nelle cittadine.
E poi i laghi. I laghi ti fanno pensare che in Finlandia è la natura che comanda e non l’uomo. Ti fanno ricordare che sulla Terra tu sei solo un ospite, ti ammoniscono affinché tu non disturbi nulla di quello su cui cammini.
Trascorro due settimane in una piccola cittadina sulla costa occidentale della Finlandia. Uusikaupunki, sul mare, alla stessa longitudine della capitale. Una cittadina strana a prima vista, con le case di legno, tutte dipinte di un colore pastello, leggero che lascia trasparire le venature del legno, e che pian piano un po’ per l’età, un po’ per l’umidità e per la pioggia, si stacca dai muri. Nella piccola baia sono ancorate le barche turistiche, molte ma non troppe.
L’esperienza della famiglia ti fa entrare nelle arterie della vita di un altro popolo, nelle sue radici: ti catapulta dentro, ti trasforma, da turista ad abitante ed è forse l’unico modo per capire fino in fondo quello che un popolo è veramente. E ti apre le vedute e i pensieri. Ti obbliga ad uscire dalla tua ristretta visione del mondo, ti rende capace ti essere “l’acqua di una goccia, non una goccia d’acqua” (Pannikkar).
Entri nella città facendo la spesa al supermercato con la famiglia, uscendo alla sera con gli amici della tua “host sister”, con la celebrazione della Confermazione nella vecchia chiesa protestante (alla quale ho voluto partecipare a tutti i costi), nei giorni passati nel cottage estivo della famiglia su di un’isola sperduta in un grande lago alla quale si accede solo con una piccola imbarcazione. Cottage nel quale non c’è ne la luce, ne l’acqua calda.
Lascio la famiglia per spostarmi nel campus Lion, stavolta nel centro della Finlandia, a circa 250 km da Helsinki verso nord.
In mezzo ad una foresta, sulle sponde di un lago, lontani una decina di chilometri dal paese più vicino, inizio un’indimenticabile esperienza di dieci giorni all’insegna della musica.
“Padasjoki Music Camp 2008”: un campo musicale. Gente di tutto il mondo, 21 ragazzi dall’Italia, Finlandia, Giappone, Cina, Messico, Israele, Turchia, Russia, Macedonia, Repubblica Ceca e Francia. Al mattino musica assieme per preparare un concerto classico/pop nella chiesa del paese l’ultimo giorno e nel pomeriggio attività tipiche finlandesi: sauna, canoa, raccolta funghi nel bosco, orientering, e bacche a volontà.
E alla sera tutti assieme nel bosco attorno al fuoco acceso praticamente in prossimità della riva del lago, a preparare crépes alla marmellata, a cuocere la carne e delle piccole brioches fatte di pasta lievitata e ricoperte di zucchero.
E prima di andare a letto, sui divani del salone del campus, tutti a cantare accompagnati dalle chitarre e dai tamburi, per gustare i canti ottomani di Istanbul, le fiabe antiche dell’Israele, i balli felici dell’America Latina, le poesie raffinate di Parigi, le storie dei guerrieri macedoni e russi, le ninna-nanna che la mia nonna mi sussurrava, e per gustare l’aroma dei mandorli in fiore e addormentarsi cullati dal suono di un gong.