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ITALIA: what else?

Il16 Agosto 2014 mi svegliai dopo aver fatto un sogno meraviglioso. 
Avevo sognato di trovarmi in un paese molto lontano e diverso dal mio, il Giappone. Vi ero arrivata il 13 luglio dopo interminabili ore di viaggio in aereo, circondata da persone che non parlavano la mia lingua. All'inizio pensai persino che stavo vivendo un incubo, ma ben presto mi dovetti ricredere.
Giunta in Hokkaido, all'aeroporto fui accolta da persone sorridenti e gentili che mi portarono a Kitami dove avrei trovato due delle cinque famiglie che mi avrebbero ospitato durante la mia permanenza. All'inizio ebbi qualche difficoltà, soprattutto per quanto riguarda la lingua, dato che non molti sapevano parlare l'inglese. Ma, grazie al mio spirito di adattamento e a Sayumi (la ragazza che mi ospitava), imparai presto le espressioni basilari per poter comunicare nella quotidianità. Con il Sig. Yamamoto, Sayumi e Nanami imparai molte cose riguardo il territorio. Visitammo diversi posti e mi insegnarono molte cose riguardo la cultura, tra cui la preparazione di dolci tipici.

Giusto quando mi ero ambientata con i miei nuovi amici, li dovetti lasciare per andare a Kushiro. Fortunatamente, i giorni a Kushiro trascorsero altrettanto piacevolmente. Se omettiamo il fatto che una notte mi svegliai di soprassalto a causa di un terremoto. Ma tralasciando questo piccolo dettaglio, o almeno è così che lo considererebbe la maggior parte della popolazione giapponese data la frequenza dei terremoti in Giappone, anche in questa città sperimentai parte della cultura nipponica. La cosa molto particolare e di cui sono molto onorata è l'aver avuto l'opportunità di imparare, direttamente da un'insegnante, i procedimenti per effettuare la cerimonia del tè. Quella fu la prima volta che assaggiai il "vero" tè verde giapponese. Era una polvere che va fatta sciogliere nell'acqua bollente e mescolata rapidamente con una sorta di pennellino in bambù. All'inizio, come vuole la regola, fu servito il dolce; una gelatina a base di mais. Quando assaggiai il tè, notai che non era per nulla come me lo aspettavo poiché era spumoso, totalmente diverso da quelli che siamo abituati a bere in Italia. Ma anche a Kushiro il tempo era volato in fretta al punto da ritrovarmi su un "midnight-bus" (autobus notturno attrezzato per percorrere lunghe distanze) diretta alla volta di Sapporo, insieme ad altri ragazzi europei e non. Lì incontrammo gli altri ragazzi e insieme andammo verso la località dove avremmo preso parte al campo. Durante il viaggio in autobus mi capitò spesso di perdermi ad ammirare il paesaggio circostante. Alte montagne con boschi lussureggianti si alternavano a immense distese d'acqua. Tutto ciò per un attimo mi fece sentire come se fossi in uno dei film di Hayao Miyazaki. Chiaramente, la vista era bella da mozzare il fiato. 
Arrivati a destinazione facemmo la conoscenza dei ragazzi giapponesi che avrebbero trascorso con noi il tempo della nostra permanenza al campo. Andammo subito d'accordo l'uno con l'altro al punto da formare un gruppo unico e compatto, come una grande famiglia, senza lasciare spazio a pregiudizi di origine etnica. Tutti insieme prendemmo parte a diverse attività, tra cui la calligrafia, il karaoke, la creazione di prodotti artigianali tipici della zona e la visita di diversi posti. La città che più mi piacque fu Hakodate, particolare grazie a Goryokaku park, una fortezza a forma di stella che poteva essere osservata da una torre situata nelle vicinanze. Durante questo periodo legai in particolare con una ragazza, Airi. Iniziammo la nostra amicizia con il suo desiderio di voler imparare qualche frase in italiano. Posso aggiungere che la cosa mi sfuggì un po' di mano dato che Airi iniziò ad andare in giro indicando cose di colore rosso, ripetendo in continuazione "questo è rosso!". Ma in fin dei conti, era divertente. L'ultimo giorno al campo eravamo molto tristi, non volevamo separarci l'uno dall'altro. Tutti sapevamo che quei 5 giorni trascorsi insieme non erano abbastanza ma alla fine ci dovemmo separare.

La mia tappa successiva sarebbe stata Sapporo. Lì, fui ospitata dalla famiglia Takamori. Marito e moglie avevano vissuto per diversi anni in America e in Inghilterra, dunque, comunicare non fu difficile. Andai subito d'accordo con i loro due figli (Tsubasa e Airi) nonostante la grande differenza d'età, essendo loro più piccoli di me. La piccola Airi, bambina iperattiva e con un fare da diva, fin da subito iniziò a chiamarmi "oneechan" (sorella maggiore) facendomi sentire accettata. Con i Takamori visitai Sapporo. Il luogo che più mi colpì è la torre della televisione. Io e Tsubasa prendemmo un ascensore per salirci e giunti in cima la vista del paesaggio mi lasciò esterrefatta. Potevo vedere tutta la zona circostante, ma soprattutto mi trovai davanti un viale alberato che si estendeva a perdita d'occhio, Odori park. In quel periodo Odori park era stato diviso in settori, in ogni settore vi era un beer garden che rappresentava un diverso brand di birra giapponese, diventando così luogo di ritrovo. La sera la città si trasformava, le vie che la mattina erano tranquille diventavano popolate da persone; soprattutto l'area di Susukino, piena di locali, karaoke e negozi aperti 24h che con le loro luci facevano assumere alla città un colore diverso, quasi surreale.

Più i giorni passavano e più si avvicinava il momento in cui sarei dovuta tornare a casa. 

Gli ultimi dieci giorni li trascorsi con la famiglia Nagata. Ci incontrammo a Sapporo e mi dissero che prima di dirigerci ad Asahikawa, dove mi avrebbero ospitato, avremmo fatto una gita. All'idea di dover fare più di quattro ore di viaggio in macchina non ero molto entusiasta, ma quando si è in ballo bisogna ballare perciò ci dirigemmo a Noboribetsu dove visitammo un meraviglioso villaggio Edo. Eravamo circondati da case e botteghe caratterizzate dal tipico tetto dalle forme particolari. L'ultima meta della nostra gita sarebbe stato il Rusutsu Resort. Giunti a destinazione restammo tutti a bocca aperta; l'hotel, oltre ad essere fornito di terme, possedeva un parco acquatico ed un parco divertimenti. È scontato dire che ci divertimmo. Dopo questo piccolo viaggetto tornammo ad Asahikawa. Lì rimasi fino a giorno 13 Agosto.

Il 14, io e la mia host sister andammo a Sapporo. Restammo lì per una notte dato che il giorno dopo sarei dovuta andare all'aeroporto per ritornare a casa. L'atmosfera non era delle migliori. Non volevo più tornare in Italia, mi ero affezionata alle persone ma soprattutto mi ero abituata al modo di vivere giapponese.

Quando il 15 notte giunsi a casa andai subito a dormire per la grande stanchezza. Quando mi svegliai il 16, mi resi conto che era tutto finito, come se in realtà fosse stato tutto frutto della mia immaginazione. In un certo senso mi si manifestò all'inverso quello che potremmo chiamare "shock culturale"; la mattina, quando aprii il frigorifero mi sentii smarrita perché non avrei più avuto i miei Onigiri a colazione.