Sono passate ormai due settimane dal mio ritorno in Italia. Ed eccomi qui che con vero piacere ripercorro l’esperienza fatta nella Terra del Sol Levante grazie al Lions Club Youth Exchange.
Inizio premettendo che non fu un mero senso d’avventura a portarmi così lontano, fino all’aeroporto di Nagoya in quel 12 Luglio 2014.
E’ stata una passione iniziata molto tempo addietro, dopo essere stato in missione a Zanarkand (città immaginaria nel videogioco “Final Fantasy X”); aver seguito Goku sfrecciare in cielo nell’anime Dragonball; aver letto le imprese del ninja dai biondi capelli nel manga Naruto. Passione che da due anni si è tramutata in materia di studio. Difatti, al momento, sono studente all’Università di Ca’Foscari del corso Lingue, Culture e Società dell’Asia e dell’Africa Mediterranea (LCSAAM).
Non per questo partii alla volta del Paese del Sol Levante con meno ansia! Sebbene fossi preparato “sulla carta” ad affrontare questa esperienza, nella realtà dei fatti ero combattuto tra eccitazione e preoccupazione, proprio come gli altri miei compagni di viaggio.
Certo, possedevo quelle che erano le basi per uno stralcio di conversazione in giapponese, ma data la complessità della lingua, le mie capacità erano piuttosto ristrette.
Fortunatamente la prima settimana in homestay non fu così complicata. Yoshie, la mia “mamma giapponese” parlava un buon inglese ed io ebbi l’occasione di praticare il giapponese senza troppa pressione, quando ne avevo voglia.
Viaggiavo prevalentemente tra Ichinomiya, la città in cui stavo, e Nagoya.
Senza perdere tempo, Yoshie e Yuji (suo marito) mi calarono, sin dal primo giorno, nel pieno dello spirito giapponese; ed io ovviamente ne fui entusiasta. Forse anche troppo. Qualche ora dopo il mio arrivo pranzammo in un ristorante di udon. Subito mi chiesero se volessi forchetta e coltello alla maniera occidentale, ma prontamente risposi che avrei preferito usare le bacchette. Per una serie di malintesi, e per il mio giapponese stentato, mi ritrovai a chiedere di mangiare la zuppa di riso proprio con le bacchette. «Anche la zuppa? La vedo dura senza un cucchiaio!» fu l’affermazione divertita di Yuji. Una volta accortomi della gaffe fu troppo tardi e, fino al giorno del mio ritorno in Italia, rimasi “il ragazzo che voleva mangiare la zuppa con le bacchette”.
Aneddoti divertenti a parte, la prima settimana fu sicuramente quella più ricca di emozioni. Il castello di Nagoya, la festa della seta, l’allenamento di Sumo, i monasteri zen, sono solo un elenco parziale delle cose viste.
Ammetto inoltre di non essere un grande appassionato di sport in generale, ma è stata un’occasione unica l’aver visto una partita di baseball all’interno dello stadio di Nagoya. E’ pur sempre lo sport nazionale del Giappone!
La seconda settimana è stata invece quella del campus. Lo staff ci ha portato davvero in lungo ed in largo per il Giappone (Tokyo, Kyoto, Nara, Monte Fuji) e, sebbene per ogni meta fosse riservato un tempo forse troppo risicato, aver potuto condividere momenti divertenti e gioiosi con coetanei provenienti da tutte le parti del mondo rese assolutamente trascurabile questo particolare.
Piuttosto che i luoghi visitati, furono però le esperienze fatte ad essersi impresse in maniera indelebile nella mia memoria. Era da sempre che volevo prendere parte ad una lezione di shodÅ, l’arte della calligrafia, ed imparare come praticare l’ikebana, il disporre in armonia i fiori all’interno del vaso.
La cerimonia del the, poi, mi ha estasiato a tal punto dall’aver deciso di acquistare un set di accessori per poter riprodurre la stessa esperienza al ritorno in Italia con i miei amici!
Le ultime due settimane sono state senza ombra di dubbio quelle più impegnative.
Vivendo in campagna (in una cittadina di periferia chiamata Kakamigahara), non erano ovviamente molte le persone che parlavano l’inglese. In particolar modo, dovetti mettercela tutta per comunicare con la mia nuova host-family, gli anziani coniugi Yamauchi, i quali comprendevano esclusivamente (o quasi) la lingua giapponese. Sebbene vivessi da solo con la coppia, frequenti erano le riunioni col resto della numerosa famiglia: erano ben tre i figli sposati ed otto i nipotini, in tutto. Se era difficile seguire il discorso dei due pacati anziani, figuratevi quelli di otto piccole furie (età dai 2 ai 12 anni circa) che parlavano all’unisono!
Nonostante queste difficoltà di comunicazione, assaporare la vivacità della vita in famiglia, tra partite a carte, grigliate in giardino e visite allo zoo, fu un piacevole stacco dopo le prime due settimane prettamente culturali.
L’ultima settimana, e di conseguenza anche l’ultimo trasferimento a Kisogawa (altra città di periferia) sotto le cure di Noriko Inami (l’ultima delle mie host-mother) fu molto particolare. Lei è responsabile di un certo numero di scuole per ragazzi disabili, e per tale motivo assai ricorrenti erano i momenti ricreativi (pasti, feste, lezioni,…) che ho trascorso assieme a loro. Sorpassato l’impaccio iniziale, dovuto ad una situazione del tutto nuova per me, nulla ha potuto più fermarmi dal godere appieno anche di questo ultimo periodo.
La signora Inami aveva già preparato un ricco programma di escursioni: ebbi l’occasione di spendere un intero pomeriggio ad Harajuku, quartiere dedicato a negozi di anime, manga e videogiochi a Tokyo, ma non solo… ebbi anche l’onore di fare la conoscenza… del sindaco di Ichinomiya!
Ricordo che quel giorno la trepidazione nell’attesa era tanta: fortunatamente questa situazione giocò a mio favore, dato che fui talmente concentrato in quello che il sindaco mi diceva (dovetti sostenere una decina di minuti di conversazione in giapponese senza alcun interprete) da essere riuscito a capire un buon 60% dei suoi discorsi.
A suggellare l’evento, il giorno dopo sul giornale di Ichinomiya venne pubblicato un breve resoconto che narrava del nostro incontro. Incredibile!
Tutt’ora, di tanto in tanto, (e penso che lo sarà per molto tempo in futuro…) ogni volta che poso gli occhi su quelle poche righe verticali di ideogrammi non posso fare a meno di riandare indietro con la memoria: dallo stupore del momento in cui notai la mia foto sul giornale a tutte le fantastiche escursioni che avevano preceduto quel momento indimenticabile.
Ancora una volta, grazie Lions Club!