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ITALIA: what else?

Mi chiamo Francesco Schwabe Brini e questa è la storia della mia indimenticabile esperienza in Giappone tramite gli scambi giovanili del Lions Club.
L’ idea di andare nacque quasi per caso: appena ci fu la possibilità di partecipare al viaggio, nonostante non rientrassi nei limiti di età prestabiliti, decisi di fare comunque richiesta. 
Quando seppi che la richiesta fu accolta mi sentii davvero emozionato.
Il mio viaggio inizia il 13 Dicembre del 2013 ed il programma prevedeva un soggiorno di tre settimane da passare ognuna con una famiglia diversa e due notti allo ski-camp in montagna. La mia destinazione era la storica città di Hiroshima.

Per me fu la prima volta in cui partecipai a questi scambi e ammetto che quando dall’ aereo, la sera prima di atterrare a Osaka, vidi le prime infinite, interminabili e allo stesso tempo attraenti luci giapponesi, mi sentii spaesato e quasi terrorizzato all’ idea di dover cavarmela da solo, a 16 anni, dall’ altra parte del mondo, in una lingua che non mi appartiene e nella quale loro (i giapponesi) hanno visivamente delle carenze. 
Ad aspettarmi all’ aeroporto c’ era il signor Jun Takahashi, un uomo che svolse un ruolo fondamentale per la mia esperienza; la mia prima cena fu a base di sushi, quello vero. Sì, perché se siete abituati al sushi “italiano”, scordatevelo, non c’è paragone. Delizioso. 
Dopo una notte passata nella zona dell’ aeroporto inizia la mia vera esperienza ad Hiroshima.
Alla stazione ferroviaria vennero ad accogliermi il signor Hirao, l’ uomo che mi ospitò per la prima settimana, la famiglia Toda, la quale mi ebbe in affido durante la seconda settimana, il presidente dell’ Hiroshima Delta Lions Club e alcuni membri molto curiosi. Penso di non aver fatto in tempo nemmeno ad alzare il braccio per accennare un saluto che tirarono fuori un cartellone col quale mi diedero il benvenuto e iniziarono a scattare foto senza sosta.

 

La mia prima settimana fu molto intensa: ogni giorno venivo affidato ad amici del signor Hirao che mi portarono sostanzialmente in ogni luogo visitabile della città e dei dintorni: ad esempio il Peace Memorial Park, il castello di Hiroshima, l’ isola di Miyajima (credo che sia stato il luogo più bello nel quale sia mai stato nella mia vita) e la città di Kure. 
Durante questo periodo soggiornai in albergo poiché per motivi famigliari e lavorativi, il signor Hirao non poté vedermi tutto il giorno e ospitarmi a casa sua; nonostante ciò non rimpiango affatto questa sua scelta, anzi, mi è capitato molto spesso di ringraziarlo perché poter avere i miei spazi e una certa libertà durante la prima settimana mi aiutò molto ad ammortizzare il colpo della cultura e della tradizione agli antipodi di quella italiana.

Penso che ciò che ho visto durante questa settimana sia sopra ogni vostro immaginario; semplicemente non esistono parole per descrivere l’ atmosfera coinvolgente e calorosa, il cibo era semplicemente eccellente: i giapponesi lo definirebbero “saikoo” che vuol dire appunto, eccellente. Oltre a ciò, si aggiunse a questo miscuglio talmente intenso di emozioni, anche una curiosità verso tutto ciò che mi circondasse e un amore verso quel Paese che ogni giorno avanzava e si faceva strada fino a saldarsi permanentemente nel mio cuore. Già, perché quando si viaggia in Giappone, ed io auguro a chiunque di farlo, la questione non è se ci si innamora o no, perché non innamorarsi risulta davvero impossibile; la vera questione è quando ci si innamora, ma vi garantisco che si tratta di giorni.

Ma torniamo a raccontare dell’ esperienza: tra la prima e seconda settimana, andai allo ski-camp in montagna. Il luogo era parecchio sperduto ed isolato, ma l’ ambiente che si creò con gli altri ragazzi mi fece sentire immediatamente a casa. Nella struttura che ci ospitò eravamo undici ragazzi: ovvero io e altri dieci ragazzi malesiani che non potrei mai dimenticare. Il soggiorno al camp fu di un divertimento infinito: vidi sciare dei ragazzi per la prima volta nella loro vita e li vidi la prima volta che toccarono la neve. Era un po’ come ripercorrere le proprie emozioni da bambino, quando con la famiglia si va in montagna e i bambini, senza preoccuparsi di nulla, si tuffavano e rotolavano nella neve.
Indescrivibile. 

Un altro ricordo indelebile di quella gita furono i bagni “hotspring”, ovvero i classici bagni termali giapponesi. Ammetto che fu la volta in cui mi imbarazzai di più nella mia vita: peccato non ci fosse uno specchio a documentare il colore della mia faccia, ma credo di essere stato un pomodoro per almeno dieci minuti. 
Tornato dal camp, iniziò la mia avventura con la famiglia Toda proprio la sera della vigilia di Natale: per rendere una minima idea di quanto siano cordiali, vi racconto che pur essendo shintoisti, mi accompagnarono nella cattedrale per la messa. Non conta poi che abbiamo abbandonato la cerimonia a metà un po’ perché io non capivo un granché e perché a loro risultava assai noioso. Ma nonostante non sia un bravo cristiano, ho enormemente apprezzato questo gesto.
Mentre con il signor Hirao imparai a conoscere il territorio, le prime parole e i vari cibi, con la famiglia Toda imparai a convivere all’ interno di una famiglia giapponese, aiutando in casa, cucinando una pasta alla carbonara che spopolò, imparando a giocare agli scacchi giapponesi, imparando a fare delle scritte con la tempera in caratteri kanji.

Imparai ad accettare la zuppa di zucca e gli spaghetti con un sugo spacciato per ragù alle 8.30 di mattina per colazione e allo stesso tempo imparai a cucinare qualche loro piatto la cui bontà è nulla di più che un sogno qua in Italia, e lo dico da amante del cibo, credetemi.
L’ ultima settimana del mio formidabile soggiorno in Giappone fu in compagnia della famiglia Takahashi: lo stesso uomo che venne a prendermi ad Osaka. Con questa famiglia, imparai moltissime cose sulla cultura, sulla tradizione e sulla lingua giapponese. La famiglia mi portò per una notte e due giorni a Kyoto. 
Per descrivere Kyoto esiste un concetto che si può comprendere solo con l’ esperienza personale: Kyoto è caoticamente una rubacuori pacifica.

Ogni singolo momento passato in quella città è impresso indelebile nella mia mente. 

Durante queste tre settimane fui due volte ospite a cena dell’ Hiroshima Delta Lions Club: una volta il 18 Dicembre, in cui venni presentato, consegnai i guidoncini e mi vestirono da samurai; la seconda cena, il giorno di Natale, fui protagonista di alcuni giochi e di una piccola intervista per conoscermi meglio. Durante entrambe le cene si respirava un’ aria di famiglia, di calore e di rispetto che non ho mai provato da nessun’ altra parte. Ogni membro, che parlasse o meno l’ inglese, si considerò nel suo piccolo un mio protettore, un mio ospitante.

 

Infatti ebbi la fortuna di essere ospite di tre famiglie, i cui rappresentanti erano tutti membri dello stesso club: mi sentii ospite prima del club, poi delle famiglie e fu una sensazione meravigliosa. 
Conobbi persone squisite, spettacolari. Anche ora che scrivo di questa esperienza mi commuovo ripensando alla fortuna che ho avuto, alla grande opportunità che ho sfruttato al meglio delle mie capacità.
Il tempo volò e al momento dei saluti di lacrime ne scesero parecchie, forse perché lasciai a Hiroshima e a ogni persona un pezzo del mio cuore: mi sentivo come un giapponese che si trasferiva per sempre in Italia, non come un Italiano di ritorno da un viaggio. Le emozioni che provai, le cose che vidi, gli odori che sentii, i cibi che provai, tutti i gesti che compii, tutti i sorrisi, tutte le discussioni sono impresse nel mio cuore e nella mia mente a ricordo delle tre settimane più belle della mia vita. 
Mi sentivo a casa, mi sentivo a mio agio, mi sentivo giapponese e di ciò devo solo ringraziare il Lions Club italiano che mi fece partite, ma soprattutto tutte le meravigliose persone che mi furono vicine durante questo viaggio.

Mi sono promesso di tornare a Hiroshima, in Giappone, perché se credete che l’ Italia sia il paese più bello del mondo, fate un salto nel paese del Sol Levante e mi racconterete al vostro ritorno.

Grazie di cuore,

LIONS YOUNG AMBASSADOR

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