Quando mi è stato detto che sarei andato sull’isola di Hokkaido, devo ammettere che per un attimo ho provato una grande delusione. Solitamente quando si pensa al Giappone, le prime metà che vengono in mente sono Tokyo, Kyoto o al massimo Osaka. Guardando la cartina, il mio sconforto aumentava notando l’enorme distanza che separava l’isola più a Nord dai grandi centri urbani.
Tuttavia, dopo aver passato cinque settimane, in Hokkaido, posso tranquillamente affermare che non poteva esserci scelta migliore per me.
Ci sono svariati motivi per cui consiglierei di visitare Hokkaido a un’amante della terra del Sol Levante, innanzitutto la possibilità di scoprire una parte di Giappone, sconosciuta ai più e spesso ignorata, un luogo che esibisce certamente il legame con l’isola principale e la millenaria cultura nipponica, ma che ha anche un’identità propria, dall’innegabile fascino esotico.
In secondo luogo, la natura e la cucina in Hokkaido sono tra le più incredibili e rinomate in tutto il Giappone, due aspetti strettamente legati, perché grazie al fertile terreno e alla dedizione alla terra degli abitanti rendono il paesaggio unico e conseguentemente le coltivazioni di frutta, verdura e cereali oppure gli allevamenti sono di primissima qualità.
Personalmente l’aver visto Hokkaido mi ha lasciato la voglia di tornare in Giappone per vedere anche il resto dell’isola, fatto che probabilmente non si sarebbe verificato nel caso avessi visto le grandi metropoli.
Passiamo ora al lato più soggettivo della mia esperienza, che per me è stata fonte di rinnovamento personale. Dopo essere tornato da questo viaggio, la mia visione del mondo è completamente mutata, in senso positivo, mi ha arricchito culturalmente e spiritualmente, oserei persino dire che è stata una tappa fondamentale nel mio sviluppo come individuo.
Certamente non è stato un viaggio semplice, a cominciare dalle numerose ore di volo, quasi 13 da Roma a Osaka.
Una volta però arrivato a destinazione, la prima famiglia ha fatto di tutto per farmi sentire a casa, organizzando, già la sera stessa, una grande festa per il mio arrivo.
Qualche giorno dopo il mio arrivo, mi è capitato di prendere una febbre altissima, ma la famiglia ha fatto di tutto per aiutarmi a stare meglio, prendendosi cura di me e preparandomi cibi separati e adeguati al mio stato di salute.
Comunicare non è stato facile, poiché i giapponesi parlano poco e male l’inglese, ma alla fine riuscivamo a intenderci, con traduttori elettronici, con i gesti o con quel poco di giapponese che ho studiato.
Al termine della prima settimana, mi sentivo completamente parte della famiglia e il primo impatto con il campo è stato leggermente traumatico.
Dopo aver passato un’intera settimana, lontano dai problemi quotidiani, coccolato e riverito, ho passato la prima mezza giornata di campo rimpiangendo i giorni in famiglia.
La nostalgia, però, è passata quasi subito, giusto il tempo delle prime attività all’aria aperta, dove ho avuto modo di confrontare le mie esperienze e conoscere altri ragazzi come me, che siano giapponesi, tedeschi, taiwanesi o danesi.
L’essere in poche persone ci ha permesso di conoscerci in maniera più approfondita e di poter stare sempre insieme, senza dividerci per gruppetti.
Tutt’ora sono in contatto con i ragazzi e le ragazze del campo, cercando di pianificare le nostre future vacanze nel tentativo di incontrarci nuovamente.
Tuttavia i momenti più belli li ho passati nella seconda famiglia, a Sapporo, capitale di Hokkaido e quinta città più grande del Giappone, dove sono rimasto per dieci giorni.
Qui ho sperimentato maggiormente la sensazione di essere come uno di famiglia, in quanto tutti, dai bambini piccoli agli adulti, mi hanno sempre trattato con affetto e amicizia, spesso anche oltre le normali consuetudini.
A Sapporo ho sperimentato diversi lati della cultura giapponese, dal cibo all’arte, passando sempre per la meravigliosa natura e conoscendo anche esempi di architettura moderna, un’esperienza a tutto tondo, coronata dalla visione al cinema dell’ultimo film del regista Hayao Miyazaki.
Ora, vedere un film in giapponese di quasi due ore, seppur con qualche miracoloso dialogo in italiano e tedesco, certamente è ostico, ma la bellezza dei disegni a mano dello Studio Ghibli, fanno sorvolare su alcuni passaggi di trama poco comprensibili, per via della lingua, giungendo a commuovere e ad appassionare.
Finita anche questi dieci giorni, mi sentivo che anche la mia esperienza fosse finita, pur avendo ancora altre due settimana di permanenza. In un certo senso avevo trovato le risposte che cercavo prima di partire e alle quali speravo che questo viaggio desse risposta.
Nella terza famiglia sono rimasto per pochissimo, appena quattro giorni. La novità questa volta era che in famiglia c’erano dei ragazzi della mia stessa età, con cui ho condiviso i passatempi degli adolescenti giapponesi, come i videogiochi, lo sport e cucinare specialità come il sushi, il ramen e i takoyaki.
Valutando queste quattro settimane mi sentivo sazio di esperienze e non osavo immaginare nient’altro di nuovo, che potesse stimolarmi come le precedenti avventure.
Fortunatamente mi accorsi presto di essere in torto, poiché l’ultima famiglia era membra della Soka Gakkai, un tipo di buddhismo conosciuto anche nella mia famiglia, in quanto mia madre e mia sorella sono praticanti, alla quale mi sono avvicinato quest’anno. Per cui, questa fede comune, ha creato un bellissimo legame fin da subito e mi ha permesso di scoprire e vedere nuove cose, altrimenti impossibili da sperimentare in Italia.
In conclusione, questo viaggio per me è stato estremamente formativo per tutti i punti di vista, sono convito di essere stato molto fortunato, poiché tutte le famiglie che mi hanno ospitato hanno fatto di tutto per farmi vivere al meglio possibile la mia esperienza e mi hanno permesso di conoscere il Giappone sotto tutti i punti di vista, culinario, artistico, religioso, umano, naturale, rituale e tradizionale.
Ringrazio quindi i membri del Lions club che mi hanno dato questa incredibile occasione e soprattutto di aver scelto Hokkaido come meta, così d’avermi fatto scoprire un mondo che altrimenti non avrei mai conosciuto.