Quest’anno, per la seconda volta, ho partecipato agli scambi giovanili del Lions Club e ho deciso di andare in Giappone. È una meta che molti sottovalutano (ricordo in un incontro sugli scambi che una madre, quando ha sentito che qualcuno andava in Giappone -cioè io- si è messa a ridere come se pensasse: “poverino, non è mica a posto….”, ma la sua ignoranza e la sua chiusura mentale non le potranno forse far comprendere quanto è stata emozionante e meravigliosa la mia esperienza); il Giappone è una meta con certamente più difficoltà da affrontare rispetto ad un Paese europeo o all’America.., che richiede forse più spirito di adattamento alle situazioni, al cibo, alle persone e anche al modo in cui si può comunicare con i giapponesi.
In effetti anche io prima di partire ero un po’ preoccupato, non tanto per il cibo o le famiglie in cui sarei capitato, quanto per la lingua, sapendo che in Giappone non tutti parlano inglese (ed è vero, posso testimoniarlo, ma non per questo sono stato un mese in silenzio, anzi..).
Un altro pensiero che avevo prima della partenza era il viaggio… era la prima volta che uscivo dall’Europa, ero completamente solo e dovevo fare tre voli (Bologna-Parigi, Parigi-Tokyo, Tokyo-Sapporo, dove l’ultimo aeroporto era in una città dell’isola più a nord del Giappone, Hokkaido, in cui sono stato per i miei 33 giorni di scambio). Avevo paura di perdere il bagaglio perché in Italia mi avevano detto con incertezza che forse a Tokyo dovevo ritirarlo, forse lo passavano subito nell’aereo successivo e quindi non sapevo esattamente dove si fermava, poi non ero neppure sicuro se dovevo fare un altro check-in in territorio giapponese o meno…. Insomma, partivo con qualche timore e incertezza sui voli, poi però subito risolti, e con una grande emozione per ciò a cui andavo incontro, in quel momento una grande incognita che però mi attirava ed affascinava.
A parte le millanta ore di volo (ci si mette più o meno un giorno ad andare in Giappone, poi dipende se uno si ferma a Tokyo o va in un’altra parte del Giappone e dipende da quanto si aspetta tra un volo e l’altro), sono riuscito a sbarcare a Tokyo (durante il secondo volo c’erano altri 3 italiani nell’aereo) e subito dopo le frontiere, dove hanno preso impronte digitali e foto di tutti gli stranieri, ho visto un tizio del personale aeroportuale che reggeva un cartello con il mio nome e su cui c’era scritto di andare a prendere il bagaglio… uno dei due problemi era risolto….
Sopraggiunti agli arrivi gli altri italiani sono andati dalle loro famiglie Lions che li aspettavano (si fermavano tutti e 3 a Tokyo) e uno dei membri, molto gentilmente, si è offerto di accompagnarmi a fare l’altro check-in…. Siamo usciti dal Terminal, in macchina (5 minuti e più) abbiamo raggiunto l’altro Terminal dove mi sarei imbarcato e lì mi ha aiutato a fare il check-in…. senza il suo aiuto ci avrei impiegato molto più tempo, senza pensare che ero anche un po’ sballottato dalle quasi 13 ore di volo Parigi-Tokyo e il mio cervello connetteva a tratti…
Fatto sta che sono riuscito ad arrivare all’ultimo aeroporto e quindi ho incontrato alcuni membri Lions con un cartello che mi dava il benvenuto. Ero arrivato nell’isola di Hokkaido, dove sarei stato ospite in 4 famiglie e avrei partecipato al campo estivo.
Dopo altre 3 ore di treno sono FINALMENTE arrivato nella prima città, Hakodate (una, per noi grande, città portuale di cui potrei dire che era semplicemente meravigliosa).
La prima famiglia era Lions (l’unica delle 4 in cui sono stato), composta da una coppia di anziani, molto gentili ed educati con me (la mia host mother parlava un discreto inglese, avevo già preso i contatti con lei per e-mail e mi sono trovato a mio agio nella loro casa). Subito la sera siamo andati a mangiare sushi in uno di quei ristoranti tipici giapponesi e poi mi sono andato a letto. La mia prima impressione sul pesce crudo, che non avevo mai mangiato, è stata così così.. mi hanno fatto provare cose buone (come il sushi al salmone, al tonno e ai gamberi), cose un po’ meno buone (palline di riso circondate da alghe secche e con dentro ingredienti non identificati) e cose poco buone (polpa di conchiglia -ovviamente cruda- uova di pesce -anch’esse- e calamaro, molto gommoso perché crudo anche lui); le volte successive in cui ho mangiato sushi però mi sono ricreduto e ora, escludendo le cose poco buone che non ho mai più assaggiato, gradisco un pasto a base di sushi, bevendo tè giapponese, quasi quanto loro.
Già il mio primo giorno ho incontrato altri ragazzi degli scambi (uno dal Belgio, due dalla California e uno dall’Olanda) con cui ho fatto immediatamente amicizia e che poi avrei rincontrato nel campo e nelle città successive (con il ragazzo del Belgio e dell’Olanda, così come con altri poi, mi sono visto quasi tutto il mio mese in Giappone, andando nelle stesse città e facendo attività insieme). Insieme ai miei nuovi amici ho fatto la soba (una specie di tagliatelle giapponesi con farina di grano saraceno) e poi la sera siamo andati in città a vedere un supermega spettacolo sulla storia della città. I giorni successivi abbiamo visitato, sempre insieme, una scuola superiore, siamo stati ad un festival in cui abbiamo partecipato attivamente come parte dello staff per 1-2 ore, ecc.., mentre invece con la mia host family ho visitato la città, siamo andati nel posti più importanti e significativi (la baia, la montagna che sovrasta la città, la fortezza in cui è morto l’ultimo samurai, oggigiorno un parco gigantesco…ecc); insieme alla mia host mother ho anche fatto le tagliatelle (uova, farina, mattarello.. poi carne, verdure e salsa di pomodoro per il ragù) per poi fare un pasta party con gli altri giovani degli scambi e le loro famiglie (pasta per 13 persone..).
I pochi giorni nella prima famiglia sono trascorsi velocemente, ma molto piacevolmente anche se ha piovuto e spiovicchiato sempre, e quindi siamo andati al summer camp insieme agli altri giovani che erano nell’isola di Hokkaido.
Il campo purtroppo è durato solo 5 giorni ed È STATA LA PARTE PIU’ ENTUSIASMETE, EMOZIONANTE E DIVERTENTE DEL MIO STARE IN GIAPPONE. Lì ho conosciuto 12 ragazzi da diversi Paesi (già conoscevo i 4 che ho incontrato arrivato in Giappone), subito diventati miei amici. Abbiamo veramente legato molto in quei pochi giorni insieme, siamo subito diventati un gruppo compatto e ci siamo divertiti troppo insieme. Eravamo 5 maschi (io, l’unico italiano dell’intera isola di Hokkaido, un turco, il belga, il californiano e l’olandese) e 8 femmine (la californiana, una di Taiwan, una russa, una della Danimarca, una norvegese, una finlandese, un’estone e una della Romania). Io ho addirittura interrotto la scrittura del mio diario da quante cose facevamo e dal poco tempo che avevo per stare a non far nulla (di giorno abbiamo fatto esperienze di ceramica, calligrafia, abbiamo visitato delle città, siamo andati in bicicletta attorno ad un lago per 12 km -questo solo i maschi siccome pioveva a cielo rotto e quindi le femmine sono rimaste all’asciutto a fare gelati e caramello-, abbiamo incontrato il sindaco di Hakodate, ecc… e ogni sera, prima di dormire, stavamo per ore a giocare a carte tutti insieme).
È stato veramente un bel momento del mio viaggio, potevo comunicare in inglese con ragazzi della mia età e non c’è stato un minuto di noia (nei momenti di pausa ad esempio andavamo fuori dall’ostello, che era sperduto in mezzo alla foresta, a giocare tutti insieme a park golf nei prati circostanti). Ho continuato a sentirmi con loro nelle altre città, vedendone alcuni spesso e altri meno, e devo ammettere che gli altri ragazzi degli scambi sono stati la cosa che per me ha caratterizzato il Giappone e, senza di loro, non sarebbe stato lo stesso viaggio, probabilmente non mi sarebbe piaciuto troppo e mi sarei annoiato in diverse occasioni. Fortunatamente questo non è mai successo!!!!
Erano già trascorsi 10 giorni dal mio arrivo quando il campo è finito e siamo andati nella seconda città; ci siamo salutati nel farewell party, che per me è stato veramente triste pensando che un momento così bello era finito, e a Sapporo (la città più importante di Hokkaido), quindi da lì ognuno è andato in direzioni diverse. Come ho già detto alcuni ragazzi sono venuti con me nella seconda città, Obihiro, e altri poi li avrei rincontrati.
Il primo giorno nella seconda famiglia è stato traumatizzante (l’unico “giorno no” dell’intero scambio). Ero stanco per il viaggio dalla prima alla seconda città (durato mezza giornata), triste per aver lasciato i miei amici, mi erano capitate una serie di sfortune quali la definitiva rottura della mia valigia che evidentemente durante i passaggi da un aereo all’altro era stata sgarbatamente lanciata (e ora aveva le ruote scardinate, così come la maniglia, quindi era inutilizzabile e non gestibile quando mossa), il mio zaino a spalla si era scucito e non trovavo il mio dizionario di giapponese (fino a quel momento mai utilizzato), che pensavo i aver lasciato nell’altra famiglia. Con questo umore sono arrivato nella seconda casa dove mi sono ritrovato con una coppa di settantaduenni che non spiaccicavano una parola di inglese e lì mi sono quindi definitivamente abbattuto. Il “momento no” però è durato solo poche ore e mi sono subito ripreso… non potevo farmi scoraggiare da così insignificanti difficoltà, cavolo ero in Giappone e mi ero divertito un mondo fino a quel momento, sarei dovuto stare 12 giorni con quella famiglia ed ero solo a 1/3 del mio scambio.
Fin da subito ho visto la difficoltà della mia host mother a comunicare con me, però vedevo anche che le dispiaceva e che ci teneva molto affinché io mi trovassi a mio agio con lei e suo marito.
Ho avuto una gran fortuna siccome lei era uno dei capi dell’AFS International, una specie di associazione di scambi per gli studenti delle superiori che da ogni parte del mondo vanno in Giappone un anno per studiare la lingua nelle scuole giapponesi, così come gli studenti giapponesi vanno in diversi Paesi a studiare lingue straniere.
Subito la prima sera mi ha portato a cena in questo centro internazionale e lì ho incontrato ragazzi dai 15 ai 17 anni che erano già da 4 mesi in Giappone e ci sarebbero restati altri 6 per studiare il giapponese. Ho immediatamente stretto amicizia con una ragazza francese, una della Tailandia e uno della Nuova Zelanda, tre elementi fondamentali per il mio soggiorno in quella città in quanto sono stati miei interpreti presso la mia famiglia e mie guide nelle prime giornate. Poi ovviamente ho conosciuto altre persone, c’erano anche alcuni giovani giapponesi e altra gente adulta di diversa nazionalità.
All’inizio stavo con questi tre ragazzi, una volta sono andato ad un festival con la francese e la tailandese e le loro famiglie ospitanti, abbiamo visitato templi, la città, ecc… mi venivano a prendere al mattino e mi riportavano a casa per cena: erano i due momenti in cui potevo chiaramente comunicare con la mia host mother (parlavo ad esempio con la francese in inglese e lei traduceva in giapponese alla mia host mother che le rispondeva in giapponese e mi arrivava quindi la traduzione in inglese.. un po’ caotico ma funzionava…); in quei momenti chiedevo spiegazioni (magari la mia host mother aveva provato di dirmi qualcosa, in giapponese, e io avevo intuito ma non troppo, magari mi aveva detto il programma del giorno o altro…) e avanzavo le mie richieste alla mia famiglia ospitante (se potevo usare il computer per scrivere mail, ecc…). Era piacevole stare con questi ragazzi, mi divertivo e ho fatto cose interessanti, ma avevo un pallino fisso che mi premeva. Volevo rivedere i miei amici del campo che erano nella mia stessa città. Ho provato numerose e ripetute volte a farlo tradurre ai miei amici interpreti ma la risposta della mia host mother, inspiegabilmente, era sempre la stessa: “vi rivedrete quando andremo ad incontrare il sindaco della città, fino a quando sei in questa famiglia segui i piani che ci sono per te” (nella realtà dei fatti però i piani venivano decisi di giorno in giorno, la mattina quando incontravo i miei interpreti -li chiamo così per distinguerli dai giovani degli scambi- e questa gelosia del tenere noi ognuno per conto suo fino all’incontro ufficiale, siccome anche gli altri giovani degli scambi chiedevano in modo insistente che ci potessimo vedere senza risposte positive, rimane tutt’ora un mistero….). Vabbè, a parte questa stranezza che è durata i primi 3-4 giorni, tutto il resto è sempre filato liscio. Mi sono subito abituato alla nuova famiglia e mi è piaciuto stare con loro, molto gentili e premurosi nei miei confronti… la host mother mi faceva come da nonna…. E dopo il primo smarrimento iniziale dovuto soprattutto al fatto della lingua, anche nella seconda famiglia sono stato benone.
Non sto a soffermarmi sulle mille attività e cose viste e visitate nella seconda città (zoo, corsa con i cavalli, pranzi e cene, giornata di beneficienza… ecc…), aggiungo solo una cosa: dopo l’incontro con il sindaco io e gli altri giovani ci siamo ritrovati (c’era la californiana, la norvegese, il belga e l’olandese) e ci siamo visti ogni giorno. Abbiamo manifestato in modo plateale, con abbracci e altro, quanto ci siamo mancati e dopo che tutti si sono finalmente accorti che volevamo stare insieme ci siamo ritrovati ogni giorno arrivando al punto da darci appuntamento in centro al mattino e, ovviamente con qualche host sisters degli altri come guida, stavamo tutto il giorno insieme. Rimane l’arcano del comportamento delle nostre famiglie ospitanti.. fino al primo incontro non volevano che ci vedessimo, dopo ci permettevano di stare sempre insieme, di vederci e addirittura di decidere cosa fare (ho poi incontrato uno dei primi giorni, andando in centro con la mia host mother, il ragazzo olandese che si stava annoiando nel locale della sua host family: una gelateria-ristorante in cui la mia host mother andava ogni giorno essendo molto amica della proprietaria… le nostre host mothers si conoscevano e sapevano come farci incontrare e non l’hanno mai fatto!!!! Aaaaaaaaarh!!!!!!!! Nel complesso però anche la seconda parte della vacanza è andata benissimo ed è stata divertente.
Nella terza famiglia, a Sapporo, ero con una madre e due figlie (16 e 10 anni)… tutte donne!!!!
Per fortuna la sorella maggiore un po’ di inglese elementare lo masticava e così sono riuscito anche a fare conversazione e imparare molte cose sulla cultura giapponese che fino a quel momento erano rimaste poco chiare data la difficoltà di fare discorsi complessi e articolati. Anche in questa città ho fatto mille cose e visto tanti posti, a volte anche con il belga che mi aveva nuovamente seguito nella tappa successiva. Una delle cose più belle e interessanti è stata la cerimonia del tè, poi abbiamo visto degli spettacoli nel festival della down town, dove c’erano danze tradizionali con costumi che rievocavano i morti (siccome agosto è il periodo dei morti).
Solo poche cose ancora: anche qui ho fatto la pasta fatta a mano con l’aiuto dei giapponesi incuriositi ed entusiasti, poi mangiata con la mia host family e quella del belga (nella seconda famiglia invece ho cotto 2-3 volte gli spaghetti… in Giappone vanno matti per la cucina italiana), poi ogni mattina la bambina di 10 anni, energica come poche, mi portava alle 6:30 in un parco dove con altri giapponesi molto mattutini facevamo mezz’ora di ginnastica e allungamenti per un buon risveglio e una piacevole giornata, a ritmo di musica data da una radio locale… faticoso svegliarsi così presto, ma ne valeva la pena ed era molto divertente…
L’ultima famiglia era ad Ebetsu, una città più piccola delle altre caratterizzata dalle tantissime aziende agricole circostanti (infatti anche io ero in una famiglia di agricoltori: coltivatori, tra le tante colture, anche di riso ovviamente). Marito, moglie, figlia di 16 anni (compagna di classe della mia host sister precedente, che parlava un buon inglese) e figlio di 13 (gioca a Judo, che anche io ho provato il giorno prima di partire… 3 ore di allenamento che mi hanno fatto ricordare di quando, fino a 5 anni fa, praticavo anche io, e che mi hanno tutto indolenzito prima del viaggio di ritorno… ma ne è valsa sicuramente la pena ed è stato molto divertente allenarsi con delle cinture nere…).
Anche con questa famiglia mi sono trovato completamente a mio agio, ho anche qui fatto mille cose interessanti (ad esempio con l’ultima host sister e la famiglia di suo cugino siamo andati a trascorrere una giornata in spiaggia.. era ferragosto e l’ho trascorso sulla costa del’Oceano giapponese), mille cose che però non voglio soffermarmi ad elencare in quanto chi è arrivato a leggere fin qui sarà già molto stanco dalla lunghezza del report, e forse annoiato, e quindi mi avvio a concludere.
Prima di tornare ero veramente intristito di dover lasciare la mia ultima e penultima famiglia (la penultima host mother è venuta a salutarmi all’aeroporto e piangeva), ma volevo anche rivedere la mia fidanzata, la mia famiglia e i miei amici… 1 mese in Giappone è stato fantastico, veramente favoloso, senza eguali, ma non ci sarei potuto stare di più sapendo che a casa mi stavano tutti aspettando….
Ho vissuto con diverse famiglie, ho conosciuto decine di persone, ho fatto mille amicizie (i giovani degli scambi, i miei interpreti e altri ragazzi sempre di quella associazione di studi e diversi giapponesi), ho mangiato un mese con le bacchette (rifiutando la forchetta per imparare ad usarle), a volte seduto in terra, ho dormito sui tatami con degli fton (materassi molto sottili stesi in terra), ho mangiato cibi deliziosi e visto paesaggi meravigliosi (anche a Sapporo, la città più grande in cui sono stato, non si respirava un’aria inquinata, frenetica, con migliaia di persone nelle strade e troppo traffico come ad esempio potrebbe essere a Tokyo, che però non ho visitato), ho visto la natura incontaminata, foreste e montagne, e immensi laghi azzurrissimi che sembrano quelli finlandesi, sono stato sulla costa e all’interno, ho visto le campagne, ho visitato tempi buddisti e shintoisti,….; ho imparato moltissimo sul Giappone e sul popolo giapponese, un popolo molto educato, che mantiene sempre la parola data, con persone anziane che hanno come valore ancora l’onore ed il rispetto dei vecchi samurai, un popolo gentile e generoso, preciso, puntuale ed estremamente organizzato (ad esempio tutti gli spostamenti erano coordinati e seguiti dai membri Lions che ci portavano da una città all’altra, facendo con noi anche 4-5 ore di treno per essere sicuri che ci fosse qualcuno ad aspettarci alla stazione successiva), ho conosciuto persone meravigliose con cui tengo ancora contatti e spero che mi vengano a trovare in Italia.
Insomma, è stata un’esperienza di cui non mi sono mai pentito mentre ero là e ancor meno me ne posso pentire adesso che è finita ed è andata straordinariamente bene, senza intoppi nemmeno nella lingua (a volte per farmi capire usavo un inglese molto semplificato ed elementare, magari anche sbagliando apposta le pronunce e utilizzando parole in giapponese, oltre ovviamente ad una ricca gestualità), e veramente sono grato ai Lions per avermi ancora permesso di poter partecipare ad un’esperienza che non solo nelle parole ma soprattutto nella realtà fa crescere, fa capire culture profondamente diverse dalla nostra e quindi insegna anche a rispettarle, un’esperienza che serve per fare nuove amicizie e quindi avvicinare anche diversi Paesi della terra, con diverse mentalità (nelle terme, vasconi di acqua calda proveniente dal sottosuolo, durante il campo stavamo la sera noi 5 maschi, nudi ed immersi nell’acqua, discutendo delle nostre culture, imparando cose nuove e tollerando anche le diversità: il turco è stato quello che più ci sorprendeva con i racconti sulla cultura del suo Paese).
Posso quindi affermare che confrontandomi con gli altri giovani, giapponesi e non, non ho solo fatto un viaggio in Giappone, non ho solo visitato tanti luoghi e fatto troppe attività, ho anche imparato molte nozioni su diverse culture ed è come se avessi viaggiato mezzo mondo (geograficamente parlando ciò è successo visto che il Giappone è abbastanza in là…).
Quindi un sincero GRAZIE ai Lions per queste attività che propongono ai giovani affinché possano crescere con esperienze che si ricordano per tutta la vita. DOUMO ARIGATOU GOZAIMASHITA Lions Club.