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ITALIA: what else?

La mia esperienza con lo Youth Exchange Program, quest’anno, ha avuto come meta il Giappone. Vi ho trascorso un mese, dal 16 luglio al 16 agosto, in parte presso famiglie e in parte in camp. Siccome il Giappone è un luogo talmente diverso e particolare da potervi parlare in proposito per giorni e giorni, mi soffermerò sui dettagli che mi hanno colpito di più dal punto di vista “lionistico” e umano.

Prima di tutto, vorrei confermare a tutti coloro che mi avevano vivamente sconsigliato di scegliere il Giappone come prima meta… che avevano perfettamente ragione! Uno dei pochissimi lati negativi del mio viaggio è stata infatti la difficoltà di comunicazione che spesso sorgeva: a volte mi sono sentita un po’ in imbarazzo notando che i miei interlocutori giapponesi non mi capivano, e dispiaciuta perché non potevamo a volte condividere alcune opinioni, esperienze o conoscenze in quanto troppo difficili (per loro) da esprimere. Tuttavia, questo non ha costituito per me un grosso problema, essendo ormai abituata a relazionarmi con qualsiasi tipo di persona, ma magari per qualcuno all’estero per la prima volta da solo questo potrebbe essere un ostacolo piuttosto scoraggiante.

Il periodo trascorso presso famiglie (quattro per l‘esattezza), comunque, è stato molto felice e ricco di bei momenti. Le famiglie erano molto diverse le une dalle altre, e ognuna mi ha insegnato cose differenti a proposito del modo di vita, del lavoro e della cultura giapponese. Ho imparato  - più o meno - ad indossare uno yukata (kimono estivo), ho dato una mano in cucina e a fare la spesa, ho sperimentato l’artigianato locale e provato una danza tradizionale. Più tante altre cose. In particolare, tre dei signori che mi ospitavano, Takaya-san, Tsubota-san e Kitabayashi-san mi hanno portata con sé nel proprio luogo di lavoro e me ne hanno parlato. Ho trovato la cosa estremamente interessante! Il primo infatti è un architetto, il secondo lavora in uno studio televisivo (fantastico!) e il terzo è un pastore protestante, una rarità nel Giappone buddhista-shintoista dove le chiese che si vedono sono tutte finte.

Ho profondamente apprezzato il loro grande entusiasmo nel farmi conoscere quante più cose giapponesi possibili, soprattutto perché mi accorgevo  che allo stesso tempo erano molto impegnati con il lavoro e la loro daily routine. Mi rendo conto che qualcuno al posto mio si sarebbe lamentato della loro tipica mancanza di elasticità mentale – ad esempio, una volta avevo chiesto se potevo trovarmi con degli amici conosciuti al camp, che stavano organizzando una serata karaoke, ma mi sono sentita dire di no perché non era in programma (!) – ma in fin dei conti i primi a doverci adattare siamo noi exchangees, non le famiglie. Tutti si sono fatti in quattro per me, e di ciò gliene sono profondamente grata. Anzi, a volte sembravano esagerare! Mi hanno letteralmente riempita di regali, che ho dovuto spedire a casa in un pacco che alla fine pesava 13 kg. In Giappone, oltre che poco educato, rifiutare è praticamente impossibile… Io ho cercato di ricambiare in qualche modo, ad esempio cucinando qualcosa di italiano, ma comunque è poco a confronto! E ho promesso di fare loro da guida la prossima volta che viaggeranno in Italia, Paese di cui tutti loro sono innamorati… in particolare gli Tsubota, che sono stati qui parecchie volte ma non sono mai andati da nessun’altra parte, hanno un amico italiano che ho avuto la fortuna di conoscere, ed hanno una macchina italiana (detto sempre in italiano ovviamente!... per non menzionare il Tasciugo DeLonghi…).

Una speciale menzione poi va fatta ovviamente nei riguardi dei Lions. Benché quasi nessuno di loro parlasse inglese e non fossero particolarmente youth-oriented (facendo riferimento all’anno scorso), sono stati tutti estremamente gentili con me e gli altri exchangees, e ci hanno dato molta importanza. Ho partecipato a quattro meeting ufficiali, in ognuno dei quali ho dovuto fare un breve discorso (il primo è stato solo una frase in giapponese, perché non c’era nessuno abbastanza bravo a tradurre!), parecchie cene con membri Lions, in cui non mancavano mai il presidente e il cerimoniere o l’officer per gli YE, e conosciuto i sindaci di tre città, in incontri più o meno formali: sono passata da una riunionemolto pomposa con il sindaco di Kanazawa (una città di 450000 abitanti, giusto per dare un’idea) ad una cena in un ristorante di yakitori (spiedini alla griglia) con il sindaco di Toyama, che è una persona estremamente alla mano… fortunatamente, perché quel giorno ero andata a fare un’escursione in montagna e, siccome non c’era abbastanza tempo(saremmo stati in ritardo di 20 minuti) per tornare a casa a cambiarsi, ero acconciata in canotta, shorts e scarpe da ginnastica. Un altro particolare notevole è stato che durante tutti gli spostamenti tra aeroporto, famiglie e camp eravamo accompagnati da almeno due Lions, anche se ciò consisteva nel passare una notte in hotel perché l’aeroporto non era raggiungibile dalla città di provenienza in tempo utile.

Ovviamente, anche quella del camp è stata un’esperienza fantastica. L’organizzazione era impeccabile e, malgrado il tempo che è sempre troppo poco, abbiamo avuto la possibilità di visitare molti luoghi (a Nagoya, Kyoto, Takayama, ecc.) e partecipare a parecchie attività (dalla tessitura al bowling, passando per la cerimonia del tè, l’ikebana e molte altre). In particolare, il lato positivo è che eravamo accompagnati da un gruppo di ragazzi giapponesi della nostra età, che facevano da tramite tra noi e i Lions che ci accompagnavano, e con cui abbiamo fatto amicizia e condiviso molti bei momenti.

Anche qui ci si doveva adattare parecchio (esempio: il bagno comune giapponese è uno stanzone con tante docce, una grande hot tub e… niente privacy), ma alla fine non era nulla di problematico. Qualcuno alla prima esperienza con lo YE program si aspettava di andare in giro la sera a folleggiare (e quindi ha cercato di fare di testa propria, rischiando di rovinare tutto), ma molto probabilmente non aveva ben in chiaro l’idea e lo scopo di ciò a cui partecipava. Al contrario, gli organizzatori e gli accompagnatori si sono dati moltissimo da fare, e il loro impegno è stato lodevole, sia dal punto di vista culturale che da quello umano. Inoltre, hanno avuto molta, molta pazienza. Un particolare da menzionare: abbiamo alloggiato in quattro luoghi diversi, e siamo passati dalla camera singola (per due notti) alla camera da 3-4 e infine alla camera da 6-10 persone. Suppongo che la scelta sia dovuta al fatto che ci vuole un minimo di tempo per rompere il ghiaccio…

Questo è più o meno quanto. Inutile dire che quest’esperienza mi ha arricchita molto, perché mi ha fatto sperimentare una realtà completamente diversa da quelle precedentemente vissute. Il Giappone è un Paese straordinario che va visitato almeno una volta nella vita, e quindi sono immensamente grata ai Lions per avermi dato questa grande opportunità.