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ITALIA: what else?

Mi scuso per aver inviato questo resoconto così tardi, forse troppo tardi, e potrei accusare di questo i tanti impegni che ho avuto fino ad ora, ma la verità è che non sono riuscita a farlo prima perché sono rimasta così amareggiata e delusa dal viaggio che il solo ripensare a quei giorni per  scrivere una relazione mi innervosiva tanto da trovare qualunque scusa per non farlo.
La prima famiglia che mi ha ospitato pareva davvero poco interessata a me e a farmi conoscere il loro paese. E’ anche vero che mi hanno fatto vedere cose molto interessanti, ma molto poche, e una volta al campus ho ascoltato con invidia tutto quello che gli altri ragazzi avevano fatto e visto.
I componenti della mia famiglia erano tutti molto indaffarati e passavano con me pochissimo tempo, tranne quando mi portavano alle cene nelle loro ville o alle serate dei club, in cui ostentavano in maniera molto poco velata la loro ricchezza ai loro amici e colleghi e mi mostravano come fossi parte di tutto questo, mi sono sentita spesso un oggetto esotico, arrivato direttamente dall’Europa,  da mostrare agli amici.

La maggior parte del tempo la passavo nella mia stanza, nella casa vuota, a pranzo e a cena veniva a prendermi un loro dipendente che mi faceva da autista, mi veniva a prendere all’ora dei pasti, mi portava in un ristorante-fast food, e poi mi riportava a casa. Il tempo che non passavo da sola lo passavo quasi tutto sola con questo signore che aveva più di 60 anni. Avevo il suo numero di telefono e mi diceva che se volevo fare qualcosa bastava che lo chiamassi, ma sarebbero dovuti essere loro a organizzare qualcosa! Io non potevo avere idea di cosa ci fosse da fare di interessante o tipico nella zona, tranne le cose più ovvie che si possono trovare nelle guide, ma è proprio per andare oltre a questo che vengono organizzati i viaggi in famiglia.
Il periodo nella seconda famiglia è stato di gran lunga peggiore. Queste persone avevano organizzato un sacco di cose per me, ma, innanzitutto, era frustrante il fatto che non si riuscisse a comunicare in nessun modo, non perché non sapessero per nulla l’inglese, ma perché erano troppo  impacciati per parlarlo. Poi (una delle  cose che ha esasperato di più anche gli altri ragazzi occidentali che erano al campus con me) per le loro regole sociali è così importante fare i cortesi che diventavano opprimenti ad un livello indescrivibile, e la famiglia che mi ospitava lo era più di qualunque altra io abbia visto. E’ difficile spiegarlo a parole, perché sembra cosa da poco, ma chi ha vissuto un’esperienza simile può capire che crea una situazione davvero esasperante. Questi ed altri fattori sono ignorabili, non ti fanno vivere bene le esperienze che fai a dirla tutta, ma per  gli 8-10 giorni da passare con quella famiglia li si può sopportare.

C’ è stato però un problema ben peggiore.

Pochi mesi prima della mia partenza mi sono ammalata di una malattia piuttosto seria, con cui dovrò convivere per tutta la vita, il diabete. Semplificando, per dare un’idea generale a chi non se ne intenda, io devo farmi almeno 4 iniezioni al giorno, una prima di ogni pasto e una quando vado a dormire. Non posso mangiare nulla che contenga zucchero, altrimenti sto molto male, e, dopo essermi fatta un’iniezione,  devo cominciare a mangiare entro 10 minuti, altrimenti posso morire.
Durante il periodo in cui dipendevo dalla prima famiglia e al campus, durante il quale dovevo regolarmi da sola e mangiavamo ogni giorno in ostelli o ristoranti diversi, non ho avuto alcun tipo di problema, mai. Infatti questa malattia è in realtà facilmente controllabile, e io posso mangiare quasi tutto.
Con la seconda famiglia ho avuto problemi ogni giorno, perché loro non volevanocapire.Gli era stato spiegato il mio problema dal club Lions, dall’altra famiglia giapponese, e da me, più e più volte,ma loro mi facevano sempre mangiare cose che mi facevano stare male, quando riconoscevo i cibi e sapevo che contenevano zucchero ero costretta a digiunare perché loro non mi davano altro, erano veramente stupidi e non davano peso alla mia malattia e a quello che dicevo.
Un giorno, siamo entrati in un edificio e mi hanno detto che potevo andare a farmi l’iniezione, perché stavamo per pranzare, con il cibo che avevamo portato da casa (in Giappone preferivano che facessi le iniezioni in bagno e non a tavola come in Italia)  quando sono tornata da loro mi hanno detto “Questo è un hotel, non possiamo mangiare qui! Andiamo a cercare un altro posto.” In quell’occasione mi sono arrabbiata davvero molto, e soprattutto mi sono molto spaventata. Per spiegarvi  quanto sia pericoloso un atteggiamento del genere vorrei  potervi mostrare l’espressione del mio medico del centro antidiabetico quando gli ho raccontato questo episodio.

Io ho avuto problemi di salute e sono stata in serio pericolo per la stupidità di quelle persone.Il colmo è stato che questi continuavano a dirmi quanto gli sarebbe piaciuto venire in Italia e mi hanno fatto capire chiaramente che volevano che io li invitassi a venire ospiti in casa mia.Il periodo nelle famiglie è stato talmente brutto che, una volta arrivata al campus, che è sempre la parte più bella del viaggio e a cui io non vedevo l’ora di partecipare già prima della mia partenza, ho passato i primi giorni a dire agli altri ragazzi  quanto volessi tornare a casa, e che non mi interessava per niente stare in quel campus pur di poter tornare in Italia.Poi, però, quei giorni si sono rivelati come sempre molto belli, e sono l’unico periodo che ricordo con piacere del viaggio in Giappone. I ragazzi che ho conosciuto erano tutte bellissime persone, ed il campus di per sé è stato quello meglio organizzato tra quelli a cui ho partecipato fino ad ora. Tra le cose che più ho apprezzato è stato il fatto che ci abbiano fatto fare esperienze  di tipi diversi, sia a sfondo sociale, come la visita a Horoshima, culturale, come quelle al castello e ai templi antichi , o di svago, come la giornata al parco divertimenti degli Universal Studios.

Le attività arano organizzate ora per ora, e ciò permetteva una certa regolarità, anche se a volte erano fin troppo rigidi, e, se arrivavamo tardi in una località per colpa del traffico, non ci lasciavano il tempo per vedere ciò che eravamo venuti a visitare.
Un’altra cosa che mi è piaciuta molto è stata la presenza dei “counselors”, ragazzi giapponesi  che avevano partecipato agli scambi Lions e che l’anno, o gli anni, dopo sono venuti con noi come fossero una sorta di animatori. Sebbene il programma fosse stato deciso dai responsabili Lions, erano loro che dovevano venirci a bussare alle porte delle camere per ricordarci a che ora fosse il ritrovo, ci controllavano durante le uscite e ci spiegavano eventuali modificazioni delle attività. In realtà questo era anche un modo per conoscersi e divertirsi con noi. Delle figure simili c’erano state anche in Canada, mentre erano totalmente assenti nel campo messicano.
Un’ idea intelligente è stata dare ad ogni ragazzo un libricino con l’intero programma, che conteneva anche le foto e i nomi di tutti i ragazzi e dei responsabili Lions, più informazioni sul Giappone ed in particolare su ciò che avremmo visitato. Purtroppo non c’era anche la lista degli indirizzi e delle e-mail dei ragazzi, che è molto utile e comoda quando si torna al proprio paese, e che poi abbiamo fatto fare.

L’unico fattore negativo che io e i miei amici abbiamo riscontrato al campus è stata la poca elasticità mentale dei giapponesi, non solo riguardo agli orari.
Per spiegarmi meglio farò un esempio: una mattina abbiamo lasciato un ostello in cui eravamo rimasti per 3 notti, abbiamo raggiunto l’autobus ed abbiamo aspettato a lungo di partire. Dopo più di un’ora di attesa siamo stati sgridati dal direttore del campo perché i counselors avevano dovuto mettere a posto le stanze che noi avevamo lasciato in disordine e avevamo perso un sacco di tempo. Attenzione però, non perché noi avessimo lasciato alcuna sporcizia o le camere in confusione, ma perché nessuno ci aveva avvisato che avremmo dovuto mettere cuscini e coperte nell’armadietto personale con lucchetto che ci era stato prestato in quei giorni. Come potevamo saperlo? Oltretutto noi eravamo convinti che qualcuno sarebbe venuto a pulire quello che avevamo usato. Sarebbe poi bastato  che ce lo avessero detto quella mattina stessa, una volta accortisi del fatto, in quel caso ognuno avrebbe messo in ordine il proprio letto e in meno di 5 minuti saremmo partiti.
Spesso venivamo trattati come dei bambini, altre volte davano per scontate cose che noi ovviamente non potevamo sapere.

Purtroppo quest’anno il viaggio non è andato come speravo, sebbene io sia comunque contenta di aver potuto visitare un paese così diverso e interessante.
Ringrazio comunque i club e i responsabili Lions che mi hanno dato questa opportunità, anche perché gli anni  passati ho apprezzato molto questi viaggi, ed il periodo trascorso al campus è stato comunque molto bello.
La mia sfortuna è stata, quest’anno, di venire ospitata da due famiglie, e da una in particolare, che mi hanno fatto vivere molto male i giorni passati presso di loro.Parlando con gli altri ragazzi stranieri del campo ho constatato che si erano trovati tutti, chi più chi meno,  in situazioni migliori della mia. Tutti sono stati abbastanza bene con le famiglie, e poi ci sono stati casi estremamente fortunati , com’è capitato ad una mia amica croata, e casi opposti, come il mio.