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ITALIA: what else?

Lo scorso 26 luglio sono partito per un’esperienza che difficilmente potrò dimenticare. 
Mi sono infatti recato in Malesia nell’ambito del programma di scambi giovanili internazionali del Lions Club.
Essendo oramai alla mia quinta esperienza in tal senso, ho voluto recarmi in un paese con una cultura completamente differente rispetto alla mia, tale da mettere alla prova il mio spirito di adattamento e le mie capacità di comprensione e analisi, dinnanzi a un ambiente particolarmente complesso e infinitamente ricco di sorprese e contraddizioni agli occhi di noi europei. Una situazione resa ancor più difficile da un contesto socioculturale frammentato in differenti etnie, religioni, lingue e realtà socioeconomiche. 
La Malesia è infatti un paese plurietnico e pluriconfessionale caratterizzato da una rigida separazione e ferree distinzioni tra le diverse comunità, al fine di evitare contrasti e tumulti relativi soprattutto a questioni di carattere religioso. 


Le etnie principali sono tre: quella malese, maggioritaria e musulmana, quella cinese, circa il 26% della popolazione totale, e quella indiana, la più povera e minoritaria. 
Il governo è spiccatamente filo malese e filo-islamico (il paese è considerato come tale internazionalmente) anche se, come già detto, sono vigenti rigide separazioni in ambito religioso in modo tale da non portare a contrasti tra le diverse etnie. 
Solo quella malese (e parte di quella indiana) può essere infatti considerata musulmana, tenuta a seguire i precetti e gli obblighi che tale religione comporta, dove invece le altre comunità ne sono esentate, anche con numerosi accorgimenti affinché non vi possano essere possibilità di scontro tra esse. Ad ogni modo nonostante una presenza plurietnica all’interno del governo, questo si adopera in ogni modo per favorire economicamente e culturalmente la popolazione malese, tramite politiche atte a rafforzarne l’identità culturale e l’influenza economica. 
La sola lingua nazionale riconosciuta è infatti il malese, unico idioma insegnato obbligatoriamente (insieme all’inglese) nelle scuole pubbliche. Ciò ha dato vita a una situazione particolarmente complessa e a tratti paradossale, con gli istituti scolastici pubblici frequentati quasi esclusivamente da malesi; e scuole private cinesi e indiane dove la lingua e la cultura malese vengono insegnati come qualcosa di “estero”, essendo la cultura dell’etnia di appartenenza punto di riferimento per l’insegnamento. 
Ne consegue che i cinesi e gli indiani conoscono stentatamente la lingua nazionale (quasi mai sono in grado di scrivere in essa), pur conoscendo le lingue della proprie comunità. Una realtà presente in modo ancor più sorprendente nelle generazioni meno giovani della società malesiana, che talvolta manifestano tratti di analfabetismo diffuso. 

La Malesia era infatti una colonia britannica e come tale l’inglese era la lingua ufficiale di insegnamento dove le altre erano relegate al ruolo di lingue locali, utilizzate per la comunicazione domestica o comunque interetnica (e dunque certamente non scritta). Con l’avvento dell’indipendenza, nel 1957, il malese divenne l’unico idioma nazionale ufficialmente riconosciuto e l’inglese venne considerato alla stregua di una lingua straniera e come tale insegnato. Le generazioni attuali di cinquantenni e precedenti dunque conoscono l’inglese, scritto e parlato, ma (eccezion fatta per i malesi) hanno una conoscenza ridotta dell’idioma di stato, limitata alla sfera orale e acquisita successivamente, così come è limita alla sfera orale l’utilizzo della loro lingua natale, che spesso (soprattutto i cinesi) non sono in grado di scrivere, perché in passato essa veniva utilizzata esclusivamente nell’ambito non scritto. 
Le istituzioni governative fanno dunque il possibile al fine di rafforzare culturalmente il ruolo di una comunità, certo maggioritaria ma non effettivamente predominante, né la sola nella storia malesiana, caratterizzata da immigrazioni, invasioni e colonizzazioni di una terra da secoli sotto l’influenza islamica, ma anche cinese ed europea (i portoghesi, primi colonizzatori europei, vi giunsero nel XV secolo). 
Ciò ha dato vita inoltre ad un sistema universitario particolarmente complesso, con università pubbliche dove vengono ammessi il 95% di studenti malesi e un restante di 5% di studenti di differenti etnie, solo tuttavia se riescono a ottenere voti eccezionali presso le scuole superiori. A tali istituti universitari si affiancano una miriade di università private o partecipate dallo stato, di dimensioni più o meno grandi, frequentate dai membri delle altre etnie. 
La situazione economica, allo stesso modo di quella culturale, presenta una uguale frammentazione. Il governo è infatti proprietario o comunque partecipante al capitale di moltissime compagnie e aziende, fornitrici soprattutto di materie prime o beni di ampio consumo e di prima necessità, il cui prezzo è rigidamente controllato e mantenuto per legge basso al fine di garantire una rapida espansione e sviluppo economico e industriale del paese. In tali compagnie, così come nella pubblica amministrazione, la burocrazia e le forze di polizia, tuttavia possono lavorare per la stragrande maggioranza impiegati di etnia malese, non consentendo l’accesso, o comunque sia limitando la capacità di esercizio economico, dei membri delle altre comunità. 
I cinesi sono infatti commercianti e piccoli imprenditori, un tempo anche banchieri, prima che le piccole banche cinesi venissero accorpate in più grandi pubbliche banche malesi, e animano e controllano i più vivaci settori economici nel paese, soprattutto in ambito commerciale. 
Gli indiani, la parte più povera e malvista, sono perlopiù contadini e operai non specializzati, nonostante la loro presenza sia considerevolmente significativa ed evidente in Malesia. 
Il contesto economico è dunque particolarmente complesso, con la volontà da parte governativa di aumentare l’influenza e la capacità finanziaria della popolazione malese, che riceve numerosi sussidi e facilitazioni. I cinesi dal canto loro sono un popolo molto pragmatico e particolarmente venale, poco interessato in realtà a differenti ideali o appartenenze politiche, più orientato ad appoggiare il regime che consente loro di continuare a perseguire i propri interessi economici. 
Le politiche culturali ed economiche del governo, unite a una diffusissima e penetrante corruzione (facilitata da una rapida crescita economica) tuttavia hanno recentemente cominciato a destare un vasto malcontento e una agguerrita opposizione che ha portato il partito al governo (da 56 anni) a perdere l’appoggio delle comunità minoritarie. 
La comunità cinese in questo paese è la più occidentalizzata, concetto alquanto relativo considerando il fatto che, più di occidentalizzazione, dovremmo parlare di elementi occidentali inseriti in un contesto estremo-orientale completamente estraneo ad essi. Non a caso tutti, o quasi, i Lions che ho avuto modo di incontrare, comprese le mie due famiglie ospitanti, erano di etnia cinese, che rappresenta complessivamente la parte più ricca e meglio istruita della società malesiana.
Sono rimasto per un mese nel paese e devo dire che non è stato facile adattarmi. 
Molte cose che noi diamo assolutamente per scontate in Europa, in realtà lì non lo sono affatto, a partire da elementi più tangibili come l’igiene e il cibo, sino ai più complessi come la scuola e il suo ambiente. 
Vivere la vita di tutti i giorni in un paese con una mentalità completamente differente e con diversi standard su questioni per noi considerate fondamentali, devo ammettere non è stato facile e ho avuto bisogno di numerosi giorni per adattarmi. 
Il concetto di igiene, soprattutto nei luoghi dove noi la riteniamo essenziale, è completamente diverso e, talvolta, può apparire ai nostri occhi addirittura disgustoso. In più di un momento ho visto ratti passare vicino al luogo in cui stavo mangiando; oppure ho potuto constatare le situazioni “difficili” di alcune cucine. 
Sono rimasto un po’ schifato dalle condizioni igieniche di alcuni luoghi nei quali veniva esposto il cibo, da me poi peraltro normalmente mangiato, e con sorpresa ho notato che la carne di pipistrello non è poi tanto dissimile da quella di coniglio (che, con sguardo orripilato, mi è stato detto loro non mangiano). Il cibo infatti credo sia stata una grande sfida, nonostante io non abbia mai avuto problemi e, anzi, abbia sempre provato una grande curiosità nell’assaggiare cose nuove. Cene a base di tofu puzzolente e pesce (per me) al sapore di detersivo, colazioni con zuppa di interiora di maiale e verza lessa, frutti dolcissimi o puzzolenti in modo indescrivibile (spazzatura al macero credo), il tutto servito con dosi abbondanti di tè e riso lesso ad ogni pasto sono state piuttosto difficili da ingerire; nel complesso tuttavia, eccettuati pochi esempi, devo dire di essere riuscito ad apprezzare considerevolmente la cucina malesiana e di aver mangiato con gusto pollo cucinato in tutti i modi immaginabili, materia fritta non identificabile e granchio in agrodolce. 
In realtà mi stupisco ancora di come soprattutto i cinesi possano avere una costituzione così minuta, considerato ciò che mangiano, quanto mangiano e come si muovono. 
La macchina è utilizzata per ogni spostamento, anche minimo e d’altra parte la benzina costa un quarto rispetto all’Italia, non sorprende dunque il traffico soffocante e l’enorme quantità di automobili, ogni famiglia ne possiede almeno tre fino a otto. E’ anche vero che pochi vivono nel centro delle città, preferendo periferie meno congestionate dal traffico, in “comunità recintate” ritenute più sicure e tranquille, in un paese dove la percezione della sicurezza personale è alquanto bassa e dove la polizia è universalmente biasimata per essere enormemente corrotta (non ho mai visto così tante compagnie di sicurezza private).
Credo che viaggiare e vivere in un altro paese con una cultura talmente differente e complessa da avere ben pochi elementi in comune con la nostra possa essere considerato un privilegio da non sottovalutare. Una tale esperienza mette dinnanzi alla relatività della nostra realtà rispetto ad altre, che non sempre sono interessate al confronto e talvolta lo respingono. Ci aiuta a capire che ogni cultura è la somma di avvenimenti storici, tradizioni e movimenti propri del luogo e del tempo nel quale avvengono e che il nostro contesto socioculturale e la nostra mentalità non è che una delle molteplici esistenti nel mondo (e non per forza la migliore, se una migliore esiste).
Ritengo dunque di infinita importanza l’esperienza che ho appena concluso e consiglio a tutti, se ne avranno l’opportunità, di farne una uguale, perché considero fondamentale riuscire a percepire la realtà umana in modo differente, più completo, ma soprattutto secondo una visione, per quanto possibile, scevra di pregiudizi.