Ho scoperto di avere una profonda (e sino ad ora a me sconosciuta) passione per la cultura dei popoli asiatici.
Goduta a pieno l’esperienza nipponica dell’anno passato ho pensato di ripropormi un paese asiatico, la Mongolia, su consiglio del dott. Settimi. Data la mia scarsa conoscenza di questo paese e di quello che ne riguarda (qualche lettura su internet e la visione del film “Mongol” che consiglio!) la mia scelta si è basata sulla possibilità di partecipare ad un horseback camp. Non sapevo cosa mi avrebbe aspettato!
Devo ammettere che sono partita un po’ allo sbaraglio, non avendo potuto avere informazioni precise riguardo al camp e difficoltà di comunicazione con la famiglia ospitante. Tra parentesi la ragazza con cui mi sono scambiata un paio di mail prima della partenza e che avrebbe dovuto ospitarmi non è stata la stessa che mi ha accolto in aereoporto al mio arrivo, in quanto c’era stato un cambio “last minute” di famiglie.
Nonostante questo disguido iniziale il mio soggiorno in famiglia è stato breve ma intenso: in quei dieci giorni ho visto e vissuto cose impensabili e meravigliose, dalle folli corse per attraversare i viali super trafficati nonostante fossi sulle strisce pedonali col semaforo verde (e facendomi pure suonare dietro da “crazy mongolian drivers”!) alla visita dei templi e dei monumenti, dalla vita in campagna alle serate mondane.
Il tempo è trascorso in un lampo e in 10 giorni mi trovavo seduta in jeep con i miei futuri compagni di avventure Chiara, Danilo e Daniela (chiamati anche dagli organizzatori Danila o Danielo a seconda delle giornate) e il capo Lk,marito di Enhmaa,responsabili degli YE in Mongolia.
Dopo più di 400 km e una folle deviazione di un paio d’ore per visitare un tempio sperduto tra le vallate (nostra culpa!) arriviamo alla base del camp. Da qui saremmo poi partiti per la nostra escursione a cavallo per sei giorni che ci ha permesso di vedere luoghi incontaminati,paesaggi stupendi e sconfinati.
L’esperienza è stata decisamente una “esperienza”: nessun comfort, compresi letto, doccia e wc,si beveva l’acqua dal ruscello, e si facevano circa 30-40 km al giorno in sella. si necessitano quindi capacità di adattamento notevoli, soprattutto per quanto riguarda la gastronomia: abbondanza di carne (capra,pecora,mucca), svariati derivati del latte come formaggi, dry yougurt e creme,e il fatidico Airik, latte di cavalla fermentato che ci veniva proposto a qualsiasi ora del giorno e della notte, usato perfino come punizione nei giochi di gruppo!
L’unica pecca a mio parere è il costo eccessivo del campo rispetto all’offerta.
Vivere, anche se per poco tempo, una vita nomade a contatto con famiglie locali, è stato qualcosa di fantastico.. visi,sguardi,persone, parole e sorrisi che mai riusciremo a dimenticare.
È facile amare ed apprezzare subito queste persone che riescono a cambiarti e a lasciarti un segno, ma solo una volta tornata alla quotidianità della vita riesci a realizzare appieno quello che veramente è stato.