Quest’estate sono stato in Mongolia! Meta ambita e lontana, assolutamente distante dal turismo di massa, che ci conduce ogni anno a visitare capitali afose e sovra affollate, o a cercare spazio su spiagge roventi in cui un metro quadro di spiaggia libera è un autentico miraggio! Grazie al Lyons Youth Exchange, promosso dal Lyons Club International, che permette ogni anno a centinaia di giovani provenienti da nazioni di tutto il mondo (o quasi), di viaggiare in modo sicuro nei posti più remoti. Sono dunque partito da Venezia nel pomeriggio del 7 luglio alla volta di Ulaanbataar, capitale Mongola. Viaggio lungo e faticoso (Venezia-Dubai-Pechino-Ulaanbatar) che, fortuna mia, non ho affrontato solo; un altro ragazzo infatti, Valentino Creaco, faceva parte dello stesso programma di scambio. Conosciuto per l’occasione è stato un ottimo compagno di viaggio, e si dimostra buon amico a mesi di distanza. Siamo dunque giunti nella capitale Mongola alla mezzanotte del giorno 8 luglio, dove aspettavano il padre ed i figli della notra Host Family, ovvero la famiglia che ci avrebbe ospitato per i seguenti venti giorni. Garbati ed accoglienti ci hanno subito condotto a casa, saziando fame e sete accumulate durante il viaggio (poche in verità visto l’ottimo servizio fornito dalla compagnia aerea Fly Emirates), quindi dandoci la buonanotte e l’appuntamento per il giorno seguente. Erano infatti responsabili della nostra visita alla capitale, e pur non avendo esperienza in questo senso, hanno dimostrato grande impegno e dedizione alla causa.
Dopo un’abbondante colazione (i pasti sono sempre stati generosi!!) abbiamo quindi iniziato il nostro primo giorno, che come i seguenti due ci avrebbe condotto, fra viali inondati di traffico e marciapiedi più simili a campi di battaglia, ad una prima visita di Ulaanbataar. Monasteri centenari con enormi Buddha, santuari posti in cima a montagne, musei e birrerie. La capitale mongola offre al turista occidentale innumerevoli possibilità di svago, che vanno dai ristoranti tradizionali a quelli internazionali, le pasticcerie danesi e i panifici giapponesi, i caffè italiani (sconsigliato l’espresso), i locali notturni assolutamente imprevisti! Pub in cui la birra viene servita di norma in boccali da litro.. discoteche e locali notturni in cui lo Champagne riscuote un certo successo, anche tra i giovani frequentatori, cosa che appariva tanto strana a me e a Valentino. La vita nella capitale è frenetica e così diversa tra notte e giorno, incredibile ed imprevista. Una città giovane (fondata dai russi all’inizio del xx secolo) e confusa, che sgomita e freme per crescere ed assumere toni e caratteristiche del mondo occidentale.
Il terzo giorno è stato caratterizzato da una rappresentazione teatrale tipica, al teatro di Arte Drammatica di Ulaanbataar, alla quale abbiamo avuto modo di partecipare accompagnati da quella che sarebbe poi stata la nostra guida nei giorni a venire. Abbiamo infatti conosciuto Henma, fuori del teatro, insieme al resto dell’equipe che con noi, il giorno seguente, avrebbe iniziato una peregrinazione di circa una settimana (non ho utilizzato ne orologio ne calendario perdendo un poco il conto del tempo) in giro per le praterie mongole. La squadra era così composta: Io e Valentino, Henma con il marito Lhauga, la nostra famiglia (madre padre e due figli), Witske (ragazza olandese), Ciara (ragazza irlandese) e Soko (ragazza mongola). Il giorno seguente, quello designato per la partenza per il vero e proprio Camp, ci siamo alzati di buon’ora, preparati gli zaini ci siamo recati allo stadio onde assistere all’inaugurazione, assolutamente piacevole e folcloristica, dell’importante festa del Nadaam. Il Nadaam, come ho potuto intuire dai più e poi leggere sulla fedele guida Lonley Planet, è la festa tradizionale più importante e frequentata dell’intera nazione. Tre giorni in cui i “guerrieri mongoli” si sfidano nel tiro con l’arco, la lotta libera e la corsa equestre, attività tradizionali che risalgono ad una cultura millenaria che vanta , come spero tutti sappiano, celebrità del calibro di Gengis Kahn e successori. Dopo un pranzo a base di frittelle di montone e cipolla, a bordo di due Jeep, siamo infine felicemente partiti per il tour!! Dopo una breve tappa appena fuori Ulaanbataar, dove abbiamo assistito ad una frazione della gara di corsa a cavallo, sdraiati sotto un cielo sempre blu, comodamente, su un morbido e profumato prato, ci siamo allontanati definitivamente dallà città.
Il nostro viaggio si è snodato lungo strade assolutamente impervie, il più delle volte non asfaltate, ma con lo spirito di veri pionieri, amanti dell’avventura ed alla ricerca di una frontiera che, trovandosi nella vastissima Asia centrle, non arriva mai. In testa solo il celebre Cult Movie “Easy Rider” con le musiche dei Byrds ad accompagnare e via……….. Incredibile: paesaggi incontaminati, praterie, paludi, colline e colorate formazioni rocciose, e ancora deserto, montagne lontane e che ricchezza di fauna! Uccelli di ogni genere, dalle famose Gru (che conoscevo solo di nome grazie al Decamerone di Boccaccio) alle centinaia di falchi ed aquile, cavalli, pecore, capre e mucche, a testimoniare una pastorizia che ancora nutre la maggior parte della popolazione mongola. Fantastico! Tanto tempo da dedicare al silenzio ed alla riflessione, godendo della vista e dell’aria buona, per poi fermarsi di fronte a quello che resta dell’antica capitale Karkhorum, sulle cui rovine sorge il tempio più grande di tutta la mongolia, popolato da qualche turista (per lo più di origine Sassone, Danese, Anglonormanna ed Olandese) e dai celebri venditori ambulanti, che credo venderebbero i denti dei loro cani spacciandoli per una preziosa reliquia!! Quindi la possibilità di rilassarsi, prendere la tintarella e fare il bagno, presso il bellissimo lago Ogii nuur, ove abbiamo soggiornato, dormendo nelle nostre tende (io ed il prode Valentino, l’aspirante architetto e l’ingegnere, provvedevamo al montaggio degli alloggi, utili visto i frequenti nubifragi) riposato le stanche membra, letto e chiacchierato. In verità abbiamo poi anche speso dell’ottimo tempo cantando canzoni popolari irlandesi (guidati da Ciara) ed inglesi, italiane e mogole (fatica!!) tutti riuniti attorno ad un fuoco caldo! Meraviglioso il lago Ogii. Da qui ci siamo quindi spostati in un luogo non ben definito, che per quanto mi riguarda è valso l’intera vacanza, presso una vera famiglia di nomadi mongoli. Proprio così, presso dei nomadi che vivono come i loro antenati di dieci e più generazioni fa! Compio ora una breve digressione sullo stile di vita di queste persone. La mongolia possiede una città grande, che è la capitale e conta un milone e mezzo di abitanti. Le successive due città per importanza e dimensione contano novantamila e undicimila abitanti. Paesi insomma.. i rimanenti mongoli vivono spaiati, in un superficie paragonabile a tre volte l’Italia (bisogna ricordare che metà Mongolia è infatti desertica ed inabitabile, in totale grande cinque e più volte l’Italia), come da tradizione, all’interno di grandi tende di feltro e legno chiamate gher, di forma circolare e colore bianco. Tutti questi “altri” mongoli vivono fondamentalmente di pastorizia, dal momento che la scarsa produzione agricola del paese è concentrata attorno ad un unico polo, e coinvolge una percentuale molto bassa di popolazione. I nomadi, non ci facciamo ingannare dalla parola, occupano un terreno libero, adibito a pascolo, per sei quattro-sei mesi circa, per poi spostarsi alla ricerca di nuove praterie da sfruttare, portandosi dietro famiglie numerose, tende ed animali. Pare che i guerrieri a cavallo che terrorizzavano il mondo nel XII secolo potessero andare avanti semplicemente bevendo latte e sangue delle loro giumente. Beh, sangue non ne ho personalmente visto scorrere, ma il latte.. a fiumi!! Latte di cavalla, carne di pecora, capra o montone. Frutta raccolta nel bosco (spero i mongoli ricordino ancora la meravigliosa marmellata di fragoline di bosco che ho personalmente cucinato e servito loro ancora calda!!) e qualche verdura avuta in scambio o comperata chissà dove.. i nomadi mongoli riescono a soddisfare ogni necessità con le loro preziose bestie (che non sono inferiori ai 150 capi a famiglia). E vivono bene! Uno dei commenti più significativi ch’ io abbia sentito personalmente è stato: “l’orologio?? Io non ho l’orologio.. se c’è il sole lavoro, sennò riposo!!” …espresso in un’inglese da interpretare. Questo è il contesto. Si, io Valentino e le tre ragazze, più le guide e la nostra famiglia siamo stati ospiti di questa incredibile “tribù”, presso la quale abbiamo soggiornato in una gher tutta nostra, aiutando gli uomini nel lavoro (mi sono guadagnato il loro rispetto segando a mano, con strumenti simili a quelli che utilizzava mio nonno, anno di nascita 1904, tronchi di abete rosso..per poi spaccare i derivati con un’accetta affatto tagliente..) e passando il resto del tempo in cerca di mirtilli, nella raccolta dei fiori, cavalcando cavalli vecchi e poco pericolosi, o giocando a pallavolo.. Si proprio così, i mongoli nomadi vanno pazzi per la pallavolo, pazzi! Posseggono una rete sgualcita ed un campo disastrato, e finito di mungere: volleyball! Riporto di seguito un dialogo intercorso tra me ed uno dei capifamiglia, che evidentemente voleva stessi in squadra con lui “Franzisco, (questo era il mio nome) Italy strong. You from Italy. You strong. You with me!” sillogismo che non fa una piega, spero di non avere deluso le loro aspettative.. ed insomma le nostre giornate correvano felici sotto il sole, tra una partita ed un sorso di latte.. ho dimenticato di accennare ad uno degli aspetti più caratterizzanti ed incredibili del nostro viaggio, il latte. Visto infatti che questi nomadi mi avevano preso in simpatia per la mia supposta bravura Nel taglio dell’abete rosso, siamo ben presto (io e Valentino) stati introdotti nello stretto ambiente familiare, atti a sfidare uomini e donne al gioco della mora mongola, che personalmente devo ancora capire nello come funzioni.. ciò che ben ho imparato è: chi perde beve un bella tazza di latte di cavalla, tutto d’un fiato, a suo rischio e pericolo.. essendo noi inesperti del gioco, e rispettosi delle loro tradizioni, ci siamo rimpinzati di latte di giumenta (beh, per la verità Valentino ha bevuto il latte una sola volta e, schifato, smesso subito). Ho stimato d’aver consumato all’incirca tra il litro e mezzo e i due litri di latte ogni sera, in tutto circa quattro-sei litri, guadagnandomi l’amore ed il rispetto che il taglio della legna e la pallavolo non avevano ancora comprato. Trascorsi questi giorni sublimi, lacrime agli occhi, siamo risaliti sulle Jeep, con la promessa di tornare al più presto a giocare a mora e a bere il latte. Esperienza felice, dormito bene, mangiato strano (mangiavo qualsiasi cosa mi dessero, dai latticini e loro derivati alle interiora dei loro animali, alla pasta fatta in casa, simile ai nostri maltagliati..)riposato, pensato e goduto veramente di una generosa madre terra.
Il resto del viaggio, sicuramente il meno all’insegna della tradizione, è stato scandito dalle spese folli (non per euro ma per quantità di beni acquistati.. souvenir) e dalle colazioni, pranzi e cene nei migliori ristoranti della capitale. E’ meraviglioso infatti passare dei giorni a contatto con la terra e con gli animali, lavandosi solo due volte.. innegabile però l’attaccamento alle nostre abitudini ed al nostro stile di vita.. quando poi il cambio e l’economia aiutano.. Visti tutti i musei, assaggiati tutti i dolci possibili e le birre, visitato qualche club notturno (MOLTO piacevole), siamo con un filo di tristezza saliti sul volo che, a borse straripanti, ci avrebbe ricondotto alla nostra bella Italia.
Lunga vita alla Mongolia ed ai mongoli.
Viaggio consigliato agli stomaci forti.