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ITALIA: what else?

È bello mettersi sdraiati su un campo e immaginare tutte quelle esperienze meravigliose che potresti fare. La mia era andare in Norvegia.
Non so bene perché, ma i Paesi nordici, dove il clima arriva raramente sopra i 22°C, mi hanno sempre destato interesse. Finalmente, durante la fine dell’anno scolastico 2011\2012, i Lions mi hanno proposto, come destinazione per gli scambi giovanili, la Norvegia.
Non riuscivo a crederci, il mio più grande sogno si sarebbe finalmente realizzato. Ho accettato immediatamente la proposta, e quando è arrivato il biglietto online dell’aereo…beh…mi sono detto “Adesso ho la piena certezza che tutto si avvererà”. In breve tempo, i Lions norvegesi hanno creato un comitato per accoglierci, e ci hanno affidato le nostre host families. Quando è arrivato il 15 luglio, i miei genitori mi hanno portato all’aeroporto, e lì la mia avventura era davvero iniziata. Premetto che non avevo mai preso un aereo in vita mia, ma l’idea di volare per la prima volta non mi spaventava. Anzi, mi dicevo che, se per realizzare ciò che volevo, questo era il prezzo che avrei dovuto pagare, allora sarei stato più che lieto di mettermi alla prova!
Nonostante dopo i primi dieci minuti di volo l’aereo avesse incontrato un bel vuoto d’aria, facendomi fare, come l’ho chiamato, “il battesimo del primo volo”, vedere i chilometri che scorrevano veloci sotto di me è stata la cosa più bella che avessi mai provato.

Scalo a Bruxelles, poi via verso Oslo. Appena sceso dall’aereo, ho dovuto aspettare un po’ (circa mezzora) prima di rivedere la mia valigia, poi mi sono diretto verso l’uscita, dove ho incontrato la mia host family.
Sono in Norvegia, a circa 2000 Km di distanza da casa, è stata la prima cosa che ho pensato.
I miei host parents (65 e 67 anni) erano disponibilissimi e gentilissimi: mi hanno immediatamente offerto del latte e del succo di frutta, con un gelato e del pane e marmellata, oltre ad una casa incredibilmente pulita e moderna che si affaccia sul fiume che attraversa il paese. Ma, nonostante tutto, la situazione, completamente diversa da quella famigliare, mi stava mettendo alla prova: era la prima volta che vivevo con gente sconosciuta, ma l’idea di parlare solamente in inglese mi faceva sentire al settimo cielo. L’unica particolarità che, per i primi giorni, mi aveva messo un minimo a disagio era stato l’orario dell’alba e del tramonto: la prima era verso le 3.00 a.m., mentre il secondo era verso le 11.25 p.m.
I giorni sono comunque passati velocissimi, e le esperienze che ho fatto (tra le quali andare per la prima volta su un motoscafo) sono state incredibili.
Dopo la prima settimana, mi sono trasferito al campus (Camp Troll), dove ho incontrato quelli che, adesso, sono tra i più meravigliosi amici che ho. All’inizio eravamo tutti un po’ timidi, e non avevamo il coraggio di rompere il ghiaccio. Tuttavia, durante i pasti, avevamo iniziato a parlare del più e del meno e, in breve tempo, ci relazionavamo come se ci conoscessimo da una vita. Ogni minuto, ogni istante di quei giorni stupendi è stato un dono che non si può comprare con niente se non con un po’ di apertura mentale. C’erano quelli che se la cavavano piuttosto bene a parlare inglese, e quelli che, nonostante le loro difficoltà nell’esprimersi, sono comunque riusciti a creare ottimi rapporti con tutti i campers.
Uno dei primi giorni, per darci la possibilità di stringere le nostre amicizie, anche con un po’ di sfida, i nostri accompagnatori hanno portati a fare dei giri con i go kart. Era la prima volta che ci andavo, e il fatto che fosse in Norvegia ha reso questa esperienza unica ed irripetibile.
La seconda parte delle giornate (dalle 5 p.m. in poi), avevamo la libertà di fare ciò che volevamo, sapendo che, dietro all’hotel-campus erano stati allestiti campi da pallavolo e badminton. E ogni volta che giocavamo a qualcosa, era un’ottima occasione per sentirci sempre più parte del gruppo.
Il tempo passava quasi impercettibilmente, e in breve tempo era arrivato l’ultimo giorno, sabato 4 agosto. Nessun programma per tutta la giornata: avremmo dovuto prepararci per la performance finale, che consisteva in brevi spettacoli di qualunque tipo, inventati da noi. La sera ci eravamo trasferiti in una villa poco distante da lì, lo stesso posto dove ci avevano portati il primo giorno del campus. Le esibizioni erano state molto belle: dal canto al suono di flauti e pianoforti; da giochi di magia a semplici, ma divertenti, balli di gruppo.
Sarebbe dovuta essere una serata di allegria e divertimenti, ma tutti sapevamo che di lì a poche ore il primo gruppo (formato da me e altre 4 campers) avrebbe dovuto lasciare tutti per dirigersi verso l’aeroporto di Oslo. Nonostante tutto, siamo riusciti ad accantonare le emozioni e a goderci gli ultimi momenti in compagnia.
Però, per quanto ci sforzassimo di ignorare il trascorrere del tempo, le 2.50 a.m. sono arrivate, portando con loro quell’atmosfera pesante degli addii.
Ero riuscito a trattenere i sentimenti più che potevo, mentre abbracciavo per l’ultima volta i miei amici. Alcuni (quelli con cui avevo legato di più), mi dicevano “I’ll miss you so much”, e altri “I’ll wait you at my home!”.
Mi ero sentito come se fossi stato per due settimane coi miei migliori amici, e non sono certo mancate le risate, soprattutto quando io e due mie amiche (una brasiliana e una svizzera) ci eravamo capovoltati con la canoa appena ci eravamo saliti… bagnati, ma morti dalle risate!
E pioveva anche!
Però, in me stesso, sapevo che quelli non erano degli addii. Erano promesse. Promesse che ci saremmo incontrati di nuovo, in futuro. Forse fra pochi mesi, o forse fra anni. Ma il tempo non ha importanza, quando il legame che ci unisce è una vera e sincera amicizia.
In conclusione, posso dire che è stata l’esperienza più bella, interessante e straordinaria che io abbia mai fatto. Mi ha aperto gli orizzonti e mi ha fatto capire che c’è un mondo di gente stupenda da conoscere.
E questo lo devo a voi Lions. Grazie per questo regalo magnifico e preziosissimo che mi avete fatto.
E consiglio a tutti quelli che hanno letto questo racconto di mettersi in gioco, perché esperienze del genere bisogna prenderle al volo e godersele al meglio.

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