Il nostro sito fa uso di cookies per migliorare la tua esperienza di navigazione. Continuando a navigare accetti l'uso di questi file.

ITALIA: what else?

Quando si va in Africa si piange due volte: all'arrivo e al rientro, così mi han detto.

Forse ho versato qualche lacrima in più del dovuto, ma solo alla partenza.
Sono state tre settimane caratterizzate da un continuo turbinio di emozioni che proverò a conservare e portare sempre con me. Spero di essere riuscita a dare almeno una minima parte di quello che questa gente è riuscita a trasmettermi. Ho stampate nella mente immagini che difficilmente scorderò: sorrisi, sguardi, abbracci, danze, canti, paesaggi mozzafiato e tanta gioia di vivere. Credo sia proprio questa la chiave di tutto: la felicità! Queste persone, i sud africani, gioiscono del poco o tanto che possiedono e sono l'emblema della semplicità.
La mia esperienza è iniziata il 20 luglio. 


Ho lasciato Milano con un sorriso stampato in volto e con un grande desiderio mettermi in gioco e di incontrare nuove persone e una nuova cultura; Ero molto curiosa di fare esperienza con gli scambi giovanili Lions, poiché seppur ne ho sempre sentito parlare bene, non ho mai avuto modo di prenderne parte.
La prima cosa con cui mi sono scontrata atterrando a Johannesburg è stato l’odore. Un odore forte, pungente, un po’ dolciastro e sicuramente a primo impatto fastidioso. E’ stato così che mi sono effettivamente resa conto di essere stata catapultata a 13 000 km di distanza e 14 ore di volo, in un posto decisamente diverso dalla mia quotidianità. Un posto ricco di diversità in cui io ho deciso di impegnarmi per amarlo. E così ogni mattina quando la sveglia delle 7 suonava mi alzavo, pronta per scoprire quello che la giornata mi avrebbe regalato. E ora mi trovo qui, con la richiesta dei Lions di recensire la mia esperienza, ma come spiegare un’esperienza come questa? come raccontarla agli altri e in un certo senso come riappropriarsene cercando di farne assaporare l’essenza?
Stavo raccontando del mio arrivo a Johannesburg, dove sono stato accolta da Marion, una signora molto disponibile che ci ha dato il benvenuto con un'accogliente stretta di mano e un grande sorriso. Con lei abbiamo raggiunto Ramkietjie, il campus dove avremmo soggiornato le successive due settimane. Durante il viaggio in macchina dall’ aeroporto al campus avevo la testa fuori dal finestrino, i capelli al vento e gli occhi sbarrati, affascinati per gli scenari mozzafiato che si susseguivano lungo il tragitto: sterminati prati di un giallo smunto, bruciati, gruppi enormi di persone colorate, dai visi sofferenti ma sorridenti che camminavano in fila indiana sul ciglio della strada, per andare chissà dove. Era tutto nuovo, ogni immagine sarebbe stato uno splendido fotogramma da incorniciare. Arrivati al campus; sembrava di essere in un’oasi paradisiaca astratta rispetto alla realtà che c’era al di fuori dalle cancellate. La struttura era fantastica, le stanze erano confortevoli, in vero stile sud africano, prati di un verde smeraldo dove passeggiavano indisturbati molti pavoni dai colori impressionanti e tutti già da subito sembravano molto gentili ed amichevoli. Al nostro arrivo nella struttura si stava festeggiando e abbiam preso parte al festival del rum, caffè e cioccolato. Bancarelle dalle mille sfumature e profumi, musica e via vai di persone accompagnavano i festeggiamenti.
Jacqui, la direttrice del campus, una signora minuta ma con un'enorme grandezza d'animo, ci ha fatto sin da subito sentire come a casa. Devo molto a lei, è stata una delle principali ragioni per il quale mi sono sempre sentita accettata e amata. Ci ha fatto da amica, nei momenti in cui ci serviva un consiglio su come risolvere una situazione e da mamma nei momenti di sconforto, quando ci serviva un abbraccio e una spinta per andare avanti.
E poi ho finalmente conosciuto tutti i ragazzi che avrebbero preso parte con me all'avventura. Eravamo 12 ragazzi ognuno con i suoi pregi, attitudini, conoscenze e altrettanti difetti e limiti. Entrambe le cose, negative e positive, sono state però necessarie per creare un gruppo unito e solido sin da subito.
8 di noi erano internazionali, mentre 4 locali; era un mix di colori, caratteri e culture diverse. Io e un’altra ragazza rappresentavamo l’ Italia, poi c’era un ragazzo croato, uno slovacco, uno olandese, uno tedesco e due sud africani, per quando riguarda le ragazze oltre a noi due c’erano una finlandese, una messicana e due sud africane.
Le gite che ci sono state proposte sono state molte e affascinanti.
Abbiamo trascorso quattro giorni nell’immensa savana, abbiam dormito in tende sotto le fredde notti invernali, con poco tempo a disposizione per usufruire dell’acqua, abbiamo toccato e sentito il battere del cuore dei rinoceronti, cenato intorno a fuochi per scaldarci, cantato canzoni e ballato al chiaro di luna con una pace e un’ atmosfera quasi surreale intorno. Ci siamo messi in gioco dividendoci in gruppi e sfidandoci a mo’ di masterchef cucinando il Potjie, il piatto tipico sud africano. Il piatto l’abbiamo cucinato con antilope selvatica e molte verdure cotte sul fuoco che dovevamo essere in grado di accendere muniti di bastoncini e tanta voglia di far ruotare i palmi.
Ci siamo lanciati con tanto di imbragature e coraggio da un albero all’altro con cascate e fiumiciattoli sotto di noi, ci siamo sentiti liberi e senza pensieri.
Un’altra gita che mi è rimasta particolarmente impressa è stata quella a Soweto, quartiere dove è nato e cresciuto il popolarissimo Nelson Mandela. Abbiamo visitato il museo sull’apartheid e il famoso stadio dove ha tenuto il primo discorso ed è nato il rappresentativo gesto del movimento Mandela.
Abbiamo cantato quasi tutti i giorni, il nome del campus era “The sound of South Africa” e Masego, una ragazza sud africana dalla voce angelica che ci faceva da coach, ci allenava quotidianamente a partire dall’uso corretto del diaframma fino ad arrivare allo show finale davanti ad un centinaio di persone. E’ stata l’ultima sera e forse anche la più bella, abbiamo dovuto esibirci davanti a molti Lions con canzoni, dalle più divertenti alle più profonde.
Triste ho fatto la valigia, dopo due settimane volate al campus, ho salutato a malincuore Jacqui e tutti coloro che ci hanno aiutato, seguito e supportato nelle due settimane trascorse a Johannesburg. Tra abbracci pianti e moltissimi ricordi e emozioni nuove sono ripartita per l’aeroporto, dove io e gli altri 7 ragazzi internazionali, eravamo diretti a Cape Town per trascorrere una settimana ospiti in famiglia. 
Io e l’altra ragazza italiana siamo state accolte all’ aeroporto con un abbraccio caldissimo dalla nostra nuova famiglia Sud Africana. Charles era il “capo famiglia” un omone grosso e sorridente, Jules era la mamma, una signora dolcissima di origini Inglesi con le sue bellissime figlie Anna e Amy. Ho passato una settimana indimenticabile. I Flanagran sono una famiglia spirituale, mi hanno insegnato con i loro piccoli gesti abitudinari, ma del tutto diversi dai miei, quanto si possa aiutare il prossimo e amare, amare e trasmettere amore attraverso qualsiasi cosa.
Ogni mattina volevano che ci abbracciassimo tutti e se all’inizio mi sembrava quasi una cosa stupida ora di fine settimana ero io che se non abbracciavo tutti uno per uno appena sveglia, mi pareva di non iniziare la giornata con il piede giusto. Ancora una volta, infatti,  l'Africa ti sorprende, e senti che quel cuore esiste davvero e pulsa forte nonostante le difficoltà.
Abbiamo visitato Capepoint, siamo saliti su Table Mountain e ammirato il panorama mozzafiato, abbiamo visto i pinguini, gli struzzi e cenato in localini tipici sull’oceano. Ci hanno detto che non volevano farci fare il solito giro turistico, andare nei ristoranti e locali popolari, perché non avremmo assaporato la vera essenza della città, ma invece frequentare posti frequentati dagli autoctoni. E’ estremamente palpabile la contraddittorietà del Paese, l’enorme differenza tra il centro dei ricchi e la periferia dei poveri.
L’esperienza che più mi è piaciuta dalla settimana trascorsa in famiglia è stata la giornata che abbiamo dedicato al volontariato. Siamo andati in questa piccola comunità molto povera, dove Charles va spesso per aiutare gli organizzatori del Rainbow Project, un’ associazione nata all’interno del villaggetto di Vryground. In questa sede, che è una sorta di mini oratorio, c’è un’area internet, dove i ragazzi già grandicelli, possono imparare l’uso del computer, di internet e dei vari programmi, c’è una sala dedicata al cucito, dove le signore più anziane offrono la loro esperienza sartoriale alle ragazze più giovani, un cortile dove per i più piccoli vengono organizzati giochi, un orto dove vengono insegnate le varie tecniche di coltivazione, la mensa alla quale tutti possono avere accesso e dove volontari ogni giorno cucinano per moltissime persone e poi la biblioteca. Noi ci siamo dedicati ai bambini ed è bello vedere i loro sorrisi sinceri pieni di stupore per le piccole cose. Abbiamo organizzato insieme ai ragazzi volontari dei giochi, abbiamo cantato e io ho fatto molte foto, affascinata da ogni piccola cosa.
Così anche i giorni trascorsi in famiglia sono finiti, volati via, senza nemmeno che me ne rendessi conto. Ci siamo organizzati con gli altri ragazzi del campus per trovarci in aeroporto, per un ultimo saluto prima di rimpatriare ed è stato davvero bello vederli; ci siamo raccontati ognuno le proprie esperienze in famiglia e dopo un forte abbraccio speranzoso di rivedersi, ci siamo salutati. Ognuno ha poi preso il suo volo malinconico.
Il rientro è stato un po’ traumatico: una Milano desolatamente vuota, una mattina di luglio; sono venuti alcuni miei amici a prendermi all’aeroporto di Malpensa, non so spiegarmelo, da un lato ero contenta di vederli, dall’altro mi angosciava il pensiero che il giorno dopo si tornava alla quotidianità. L’aereo ti strappa via bruscamente da una realtà e ti ripiomba in un’altra senza lasciarti il tempo di rendertene conto, ti trovi scaraventato in un altro mondo senza poter reagire. La prima cosa che ho avvertito è stata il silenzio, quello che mancava era il rumore della gente, delle strade affollate, delle risate dei bambini, delle voci dei compagni di viaggio. C’era sì molto rumore, ma era rumore del clacson, dei motori e dei miei amici di sempre curiosi dell’esperienza, era un silenzio rumoroso infondo. Tornati a casa, forse è proprio da qui che bisogna ripartire. Sono carica di emozioni, di sensazioni, di immagini. Vorrei essere in grado di rendere pari pari la mia esperienza, quello che ho vissuto, condividerla con gli altri perché nulla vada sprecato. Non smetterò mai di ringraziare i Lions per questa fantastica esperienza che custodirò come una gemma preziosa dentro di me.

I tramonti spettacolari della savana

 

Io ed Iliana, una ragazza messasicana con cui ho legato moltissimo, è stata la mia compagna di avventure e disavventure al campus

 

La gita nella savana, con il mio gruppo

 
Partendo da sinistra c’è Nikkie, la ragazza sud africana, Jurica, il ragazzo croato, Iliana, Alex, il ragazzo tedesco e Marco, quello slovacco.

Io e la mia squadra, abbiamo cercando di accendere il fuoco per la sfida Masterchef

  

Io e la mia squadra intenti nella sfida

  

Tutti pronti per lanciarci con le imbragature da un albero all’altro

  

Ramkietjie, il campus dove eravamo alloggiati

  

Io l’unico momento che sono riuscita a trovare per fare un pisolino in stanza

 


Selfie con il rinoceronte

  

Al parco divertimenti

  

 
Alla serata karaoke, non vi ho ancora presentato Anna, la ragazza bionda in centro, che è finlandese

  

Tutti noi, intenti nello show

 
 


L’ultima sera, pronti per lo show finale, tutti eleganti

  

Sempre l’ultima sera con Heirich, un ragazzo sud Con Seeyabonga, un altro ragazzo sud africano e Teun, il ragazzo olandese africano

 

Con Masego, la nostra coach di canto, una ragazza sud africana

  

 I miei due migliori amici, delle persone stupende che spero di rivedere presto

 


Qui ci siamo io e Charles in un selfie da Table Mountain

 

Queste sono delle foto della giornata trascorsa a Vry ground 

 

 Qui una delle incredibili viste girando per la penisola con le mie sorelle sud africane

 

Qui siamo in un localino molto tipico sull’oceano, dove abbiamo cenato
 
 

 Qui sono io che cucino per la famiglia un piatto di pasta all’arrabbiata e io che mangio accampata in macchina un piatto tipico sud africano

 

 Le donne di famiglia dopo le terme, Jules, Amy, Anna e Giulia, la ragazza italiana