Quando mi è stato proposto il Sud Africa, ho dovuto pensarci almeno mezza giornata prima di accettare. Ero impaurita, ne avevo sentito parlare solo come uno stato pieno di problemi e povero. Mi immaginavo elefanti che camminavano tranquillamente per strada. Infine mi sono detta “ quando mi ricapita un’occasione del genere” e così sono partita.
A Francoforte ho incontrato le mie compagne di viaggio ed io ero l’unica ad avere contatti con una famiglia;loro non sapevano che fine avrebbero fatto. In aereo ci siamo trovate a fianco di una giornalista che ci ha rassicurato. Era la seconda volta che ci andava e, date le nostre espressioni di smarrimento, si è messa a raccontare di questa terra e i suoi occhi dicevano il vero.
Dopo 12 ore di volo siamo giunte a destinazione.
Prima tappa: Città del Capo.
Erano le 6 del mattino e non avevamo dormito un granché, abbiamo passato la dogana e trovato la famiglia, comunicandoci che saremo state tutte insieme in casa loro. Salite in macchina( guidano dalla parte sbagliata) e sistemateci, la famiglia ha voluto subito discutere riguardo il programma della settimana, delle nostre famiglie, della loro…insomma il primo approccio e momento di imbarazzo.
La città è moderna, nuova, stile americano con i grattaceli che spiccano, centri commerciali e un fast-food ad ogni angolo di strada. Ma, poi, ti guardi intorno e ti accorgi della bellezza naturale che hai attorno: montagne e oceano. Non l’avevo mai visto prima e la sensazione è stata di impotenza di fronte a tanta acqua. Paesaggi da cartoline, tramonti romantici…un sogno.
Mentre si percorrono le strade, ti capita di vedere una staccionata e dietro tante cataste di baracche. È dove vivono i poveri: bambini costretti a fare i loro bisogni per strada, uomini che cercano di guadagnare con l’elemosina, donne che o accudiscono i loro figli o vendono il loro corpo.
Guardando la cartina, mi sono stupita di essere arrivata proprio alla punta di un continente. È stato emozionante! E con dispiacere è tempo di partire.
Seconda tappa: George.
Siamo arrivate con un aereo di soli 18 posti e abbiamo riso a vederlo e gioito sapendo di essere atterrate sane e salve.
Al ritiro bagagli Otto, il nome dell’host- dad, ci ha salutato. Uomo sulla quarantina, bianco, lineamenti tedeschi. Percorriamo 80 km e sfrecciamo sulla strada e sulle curve a 160 km/h.
Il paesaggio è cambiato; siamo fuori città; ci sono montagne attorno a noi e più si va avanti, più notiamo mucche, pecore, cavalli, struzzi.
La nostra nuova abitazione è in una fattoria. Ci dividono a due a due, ma abitiamo in case una davanti l’altra. È pieno di cani: cinque per la precisione.
Le giornate trascorrono lentamente. Si mangia presto, si va a dormire presto e ci si alza tardi.
Le donne amministrano i soldi, fumano e guardano soap opera; gli uomini si occupano del lavoro: curare gli alberi di mele e pere.
L’unico svago, oltre a un cucciolo, è il fine settimana. Hanno una casa in città e questo ci permette di passeggiare, fare un safari, cavalcare in groppa ad uno struzzo, ma ci siamo troppo affezionate alla prima famiglia e a Città del Capo, non riusciamo ad essere coinvolte, forse anche perché non ci sono giovani.
Dopo due settimane di tram-tram, in quanto la famiglia per impegni di altro genere, ci lasciava a volte da altre famiglie Lions’, siamo ripartite.
Terza ed ultima tappa: Johannesburg.
Uscite dal ritiro bagagli, due anziani signori si sono avvicinati e un flash mi ha abbagliato( prima foto). Lasciate le valige e decise le nostre stanze, con ciotole piene di succulenti dolciumi, siamo salite in macchina e andate verso un sobborgo in cui un grosso centro commerciale è situato. È nuovamente diverso. Ora si vede che siamo in una terra ricca. Negozi italiani, prezzi standard, alberghi d’oro e gente frenetica.
La prima settimana si trascorre freneticamente. Ogni giorno prevede una meta diversa: safari, parco divertimenti, serate Lions’.
Johannesburg mi piace. Con una fervida immaginazione, si può paragonarla a New York. Grattaceli, bronx, tante persone, e allo stesso tempo terra arida( ci sono incendi ma nessuno se ne cura: è buona come concime).
Tenete in mente il Re Leone e aggiungete la città, e gru che scavano per scoprire miniere.
L’ultima settimana ci hanno divise in quattro differenti famiglie, ma ci vedevamo ogni giorno.
Ci muovevamo insieme.
La cosa strana è che i bianchi hanno paura e non sopportano i neri. Chiedevamo di andare al centro di Johannesburg e alla fine ci hanno accompagnate. Scese dalla macchina, procedevamo a passo spedito verso un centro commerciale. Siamo salite su un ascensore e abbiamo visto la città dall’alto di un grattacielo di 50 m e poi di corsa verso la macchina.
Per le strade i miei occhi osservavano, fremevo, volevo scendere e camminare tra quella gente che camminava, probabilmente diretta a lavoro o a fare spesa.
I Lions’ si occupano di aiutare le persone con cliniche che con pochi soldi ti permettono di avere occhiali da vista, case famiglia per bambini abbandonati o maltrattati, rifornimento di cibo, bevande e uniformi presso le baraccopoli.. e dopo aver visto e vissuto anche solo cinque minuti in case fatte di materiali di plastica, forse cancerogeni, di acqua sporca, di un bagno per 150 persone…solo lì ti accorgi di quanto sei fortunata.
Siamo anche riuscite a farci portare a Soweto, la zona più pericolosa di Johannesburg. Forse se ci capiti di notte e da solo, ma di giorno è piena di vita. Ti sembra di essere in uno di quei quartieri malfamati in cui si formano i grandi musicisti. Ad ogni angolo gente vestita elegante si riunisce in una casa che piange il lutto di un parente morto di AIDS e che puoi anche non aver mai incontrato. È come una festa. E c’è rumore, vita…
Cose che rimarrano stampate nella memoria: i bambini si muovono scalzi; i cani sono fondamentali in quanto se riesci a prenderti cura di loro, sei pronto per avere una famiglia; i barbecue( si mangia bene..sono ingrassata di due chili, specialmente carne e pesci grigliati a volte speziati).
Nelson Mandela ha fatto tanto per quello Stato, ma si avverte ancora un forte disequilibrio e una forte tensione tra le due razze. A Città del Capo meno in quanto le razze si mischiano e non hanno paura del nuovo e penso sia uno dei motivi per cui ci sia rivalità con Johannesburg. Una sorta di Italia del Nord( Johannesburg) e Italia del Sud( Cape Town).
Voglio tornarci, ma d’estate. Ho omesso che sono privi di riscaldamento. Non hanno inverni così rigidi, ma nelle case è freddo.
Questo è quanto riguardo la mia esperienza. Vale la pena anche per scoprire che “ tutto il mondo è paese”. Diversi abitudini, modo di mangiare, cultura ma in fondo persone accomunate da sogni, paure, emozioni e detti uguali.