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ITALIA: what else?

Quest’anno ho avuto la mia seconda esperienza con gli scambi Lions e quando ho saputo che durante l’estate avrei avuto l’opportunità di andare a Taiwan la prima cosa che ho pesato è stata: è dall’altra parte del mondo, non sono mai stata così lontana da casa. Ma l’eccitazione per il viaggio è stata forte nonostante prima della partenza io e i miei genitori fossimo preoccupati per la mancanza di informazioni da parte del campo e della famiglia.
Se prima di partire ero un po’ preoccupata perché la host family non si era mai messa in contatto con me, all’arrivo all’aeroporto di Kaohsiung ho trovato una calorosissima accoglienza, e da subito mi hanno trattata come parte integrante della famiglia, al punto che la mia host mom voleva che tra noi ci chiamassimo sister, e credo che anche questa piccolezza abbia aiutato a farmi sentire a mio agio. In famiglia con me c’era anche un altro ragazzo italiano e grazie a lui ho sentito meno la lontananza dal mio Paese. Appena arrivati a Donggang, la città dove la famiglia viveva, hanno voluto farci entrare nel clima taiwanese offrendoci quella che viene considerata dagli stranieri la specialità più apprezzata dell’isola, lo Jin Tsu Nai Char, a base di latte, the e delle palline gelatinose al tatto di cui nessuno ha saputo spiegarmi la provenienza. Al primo assaggio ne io ne l’altro ragazzo siamo riusciti a trovarlo buono, ma a dir la verità, dopo due settimane, sono arrivata a non voler ber altro che quello!

I primi tre giorni in famiglia si sono rivelati interessanti perché abbiamo cominciato a prendere parte ai ritmi e alle abitudini della famiglia, composta dalla mia host mother, father,il quale aveva un’officina piena di pappagalli, e da un bimbo di nove anni, Kenni, che ci ha fatto compagnia per tutte e due le settimane. Nei primi giorni ho dovuto fare i conti con la temperatura, anche più calda e umida di quello che mi aspettavo, e dagli incredibili sbalzi climatici tra interno ed esterno, dovuti agli onnipresenti condizionatori. Con la famiglia abbiamo visitato la loro città e i dintorni, compresa la piccola isola di Liuchiu, rivelatasi di una bellezza incredibile grazie al mare cristallino, alle tartarughe che vi nuotavano e alla florida vegetazione. Davvero uno dei posti più belli che abbia visto. Purtroppo sia io che l’altro ragazzo siamo rimasti male quando davanti a un tale spettacolo non ci hanno permesso di fare il bagno. In seguito abbiamo capito che non era abitudine dei taiwanesi fare il bagno come siamo abituati a farlo in Italia, e la cosa ci ha alquanto allibiti. Durante questi primi tre giorni abbiamo anche incontrato alcuni dei ragazzi che sarebbero poi stati con noi al campo, e poco a poco abbiamo avuto la consapevolezza che di stranieri ce ne sarebbero stati pochi.
Infatti arrivati al campo, situato nella vicina e più grande Kaohsiung, è stato un po’ spiazzante vedere solo ragazzi cinesi e taiwanesi, fatta eccezione per noi due italiani e un ragazzo israeliano. Ed è stato maggiormente spiazzante vedere che in mezzo a trenta ragazzi solo in dieci parlavano inglese. Ero alla mia seconda esperienza in un campo Lions e forse mi aspettavo più internazionalità e sicuramente mi sarebbe piaciuto aver la possibilità di comunicare con tutti. Ma lo straniamento iniziale, dovuto soprattutto alla difficoltà di comunicazione, si è risolto quando quei pochi che parlavano inglese si sono improvvisati interpreti e hanno tradotto per noi “stranieri” le direttive dello staff e le spiegazioni delle varie attività.
I primi giorni al campo, per quanto mi riguarda, si sono rivelati molto duri a causa del caldo e delle attività organizzate completamente all’esterno, anche durante le ore centrali della giornata, che comprendevano attività di gruppo e corsi di Adventure Training. I giorni successivi sono stati meno pesanti grazie alle escursioni che abbiamo fatto nel sud dell’isola, durante le quali abbiamo visitato le città di Meinong e Tainan, l’antica capitale dell’isola, e luoghi d’interesse come i famosi night markets a Kaohsiung, affollati banchetti che vendono ogni tipo di cibo e di oggettistica, e il Buddha Memorial Centre, nei dintorni della città, rivelatosi uno dei posti più suggestivi dell’intero viaggio. La sensazione più strana, e talvolta imbarazzante, era però dovuta alle attenzioni che tutti rivolgevano a noi tre “stranieri”; ovunque andassimo tutti continuavano a scattarci fotografie chiedendo di poter aver una foto con noi, trattandoci come se fossimo gli ospiti d’onore e il fiore all’occhiello dell’intero campo.
Al termine del camp ognuno dei partecipanti ha dovuto partecipare a un’esibizione e la preparazione di tale evento è stato il momento più divertente e coinvolgente dei giorni passati insieme, dopo il quale ci siamo trovati tutti più uniti.
La fine del campo non è stata un vero addio poiché dopo essere tornati in famiglia, ci siamo nuovamente incontrati tutti per un’escursione nel parco naturale di Kenting. Questo parco si trova nell’estremo sud dell’isola ed è incredibilmente suggestivo grazie all’unione dell’oceano con le verdi montagne tipiche di Formosa. Anche i giorni passati insieme a Kenting sono serviti a unirci ancor di più, soprattutto con quei ragazzi con i quali già nei giorni precedenti eravamo diventati inseparabili.
Questi ultimi giorni passati con la famiglia mi hanno fatto passare completamente a voglia di tornare in Italia: in loro infatti ho trovato delle persone incredibili che hanno fatto di tutto per accontentare i loro ospiti, portandoci sempre fuori a mangiare, dimostrandosi sempre disponibili, provando a insegnarci un po’ di cinese (l’impresa più ardua delle due settimane!), accogliendoci in casa loro come se ci conoscessero da sempre,ricoprendoci di attenzioni e di regali. Addirittura la mia Sister una sera mi ha portata a fare shopping, volendo a tutti i costi comprarmi dei vestiti che avrei potuto usare una volta arrivata in Italia. Forse semplicemente non le piacevano i vestiti che avevo in valigia, ma in quel momento mi sono sentita davvero come sua figlia o sua sorella.
Il giorno in cui sia io che l’altro ragazzo siamo dovuti partire, all’aeroporto abbiamo trovato un comitato di addio composto dai nostri amici taiwanesi, che sono rimasti con noi a ridere e scherzare fino all’ultimo momento.
Tirando le somme credo sia stata un’esperienza unica che consiglierei a chiunque, un’occasione per entrare nel vivo di una cultura completamente differente dalla nostra, ma oltremodo affascinante. La gente che ho conosciuto, soprattutto quella del posto, è stata sorprendente, per generosità, disponibilità e cordialità.
Non avrei più voluto andarmene, perchè mi sono trovata talmente bene da non sentire il bisogno di tornare in Italia, e non riuscendo a trattenere le lacrime ho promesso a me stessa che sarei tornata, magari per la festa delle Lanterne, perché a Taiwan non ho lasciato solo una famiglia e amici incredibili, ma anche un pezzo di cuore.

 

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