Dove sono le Faroe Islands? Confesso che prima di partire non lo sapevo nemmeno io. Eppure ora sono una parte di me, il ricordo di un’avventura e di una seconda casa che porterò sempre nel cuore. Le Isole Faroe sono un piccolo e isolato arcipelago a metà strada tra la Norvegia e l’Islanda, note per la loro origine vichinga e per essere la patria di uccelli rari e unici (i Puffin) e dei cacciatori di balene. Il popolo Faorese ha proprie tradizioni, una lingua propria, una propria moneta, una propria storia e indipendenza di cui va molto fiero; un popolo pacifico, riservato e autonomo. Si sentono tutti parte di una stessa grande famiglia dove non c’è spazio per sentimenti di esclusione o diffidenza; forse è proprio per questo che sull’isola non esistono prigioni o serrature per le porte d’ingresso.
Il mio viaggio è cominciato la mattina del 2 luglio. Dire che fossi agitata è davvero riduttivo: avevo tre aerei diversi da prendere, con coincidenze serrate che non permettevano errori e il serio rischio di non poter arrivare a destinazione a causa del fatto che non avevo il passaporto. Per viaggiare in Europa è sufficiente la carta d’identità, ma, in seguito a una nuova norma, le Isole Faroe richiedono il passaporto. Io ero all’oscuro di questo e così pure l’agenzia di viaggio che lo ha scoperto solo la sera precedente la mia partenza. Ad ogni modo, essi si sono dimostrati disponibili e gentilissimi. La mia famiglia ospitante (informata dell’inconveniente) è stata così premurosa da contattare persino il console italiano residente alle Faroe Islands per chiedere un’opinione sul mio caso. Fortunatamente non ho avuto problemi, grazie anche al fatto che tale legge fosse davvero recente.
Finalmente l’ultimo volo è atterrato e io sono stata accolta dalla luce del sole e da una folata di aria fresca, ma che a me sembrava gelata. I 34 gradi che avevo lasciato in Italia quella mattina erano davvero lontani dai 10 che mi accoglievano in quel momento.
Un’altra cosa mi ha stupito dell’aria: il suo odore. Anche quando ormai eravamo sull’isola da settimane, quell’odore continuava a incantare tutti noi ragazzi dello scambio. Era così nuovo, pulito, fresco, sapeva di oceano e prati contemporaneamente.
Uscita dell’aeroporto ho trovato subito la famiglia e la mia sorella di avventura Camilla (una ragazza danese) che mi aspettavano con un grande sorriso. Fin dalla prima sera essi hanno cercato di farci conoscere il più possibile della loro terra e della loro cultura portandoci a vedere laghi, cascate e immense distese rocciose, facendoci partecipare a rumorose e divertenti cene in famiglia e mostrandoci la loro vita quotidiana. Siamo andate a fare la spesa, a giocare a calcio coi ragazzi del paese e nostro “fratello” Magnus e insieme a loro siamo andate al cinema, in piscina, a mangiare il sushi e partecipato a esilaranti tornei di playstation. Le giornate erano lunghissime grazie al fatto che a luglio in queste isole il sole non tramonta mai. Non potrò mai dimenticare la strana sensazione che si provava a giocare a nascondino in un campo alle due di notte con il sole che splendeva nel cielo. Mi sono trovata davvero bene con la famiglia che era sempre allegra, aperta e premurosa: mi sono affezionata e mi dispiaceva lasciarli, ma l’avventura del campus ci aspettava!
Eravamo 25 ragazzi e ragazze provenienti da 18 diversi paesi, ma in un paio di giorni siamo diventati una famiglia. Una famiglia che si è dimostrata unita sia nei momenti di gioia che in quelli di paura e sconforto come l’attacco terroristico in Francia e il tentato colpo di stato in Turchia: giorni carichi di angoscia per alcuni di noi. Sono nati legami di amicizia che non voglio assolutamente perdere e abbiamo imparato davvero tantissimo sulle culture di molti paesi. Ci siamo scoperti diversi e contemporaneamente uguali. Abbiamo le stesse passioni, gli stessi sogni, siamo cresciuti con gli stessi cartoni Disney che la sera guardavamo tutti insieme fino a notte fonda in un’aula cinema da noi creata in una stanza della scuola. Perché il nostro camp era proprio questo: una scuola folcloristica riadattata a collegio e fornita di aula mensa, biblioteca, cucina degli studenti, palestra… Un piccolo mondo tutto nostro. Durante il giorno non c’era tempo per annoiarsi: tra gite in barca, arrampicate in montagna, visite per la città e gli antichi villaggi vichinghi, lezioni di danza faorese e partite di pallavolo, ogni momento era vissuto al massimo.
Le due settimane sono volate e l’addio è stato molto triste. Uno di noi ha avuto la fantastica idea di scriverci delle lettere personalizzate, una per ciascun compagno di camp. E così sono tornata a casa con le mie 24 lettere da leggere e il cuore gonfio di tristezza, ma anche gioia: non rinuncerei a questi ricordi per nulla al mondo.