La mia avventura a Cipro non era iniziata bene, anzi non era iniziata affatto. A dicembre mi era stato detto che i posti per il campo a Cipro, per il quale avevo fatto richiesta, erano stati già assegnati e che quindi probabilmente sarei stato ricollocato da qualche altra parte. Ero molto dispiaciuto, perché desideravo vivamente partecipare a quel campo. Ma una sera di marzo ho ricevuto una telefonata dal dott. Nicoloso, il referente degli scambi del mio distretto, che mi annunciava che ero stato ripescato: sprizzavo letteralmente gioia da tutti i pori.
E così eccomi giungere all’aeroporto di Larnaca, dove ho incontrato alcuni dei miei compagni d’avventura, tra i quali c’era Giacomo, uno dei due italiani con cui ho condiviso molte grandi avventure (rigorosamente in inglese, per coinvolgere anche il nostro quarto compagno di stanza, che era danese). Subito abbiamo fatto la foto di rito insieme ai Lions che erano gentilmente venuti a prenderci: molti ragazzi erano però un po’timidi ed impacciati e stavano rigidi in angolo, ma io e Giacomo, abbracciandoci per la foto, abbiamo coinvolto i nostri vicini e così, con un effetto domino, tutti si sono rilassati e aperti.
Il campo è stato molto bello e interessante: per due settimane abbiamo trovato un perfetto equilibrio tra le attività culturali e le gite per l’isola da una parte e il mare e la piscina dell’albergo dall’altra. Oltre ad abbronzarci sulla spiaggia e giocare a palla in piscina, abbiamo avuto modo di esplorare e scoprire la cultura greca, ma anche di riflettere sul razzismo e sulla guerra: l’isola di Cipro è pur sempre occupata per metà dalle truppe turche e questo, con il senso di guerra latente che impone, segna profondamente la popolazione locale. Soprattutto per quanto riguarda il servizio militare, abbiamo avuto modo di discuterne ampiamente: a Cipro e in molti altri Paesi, in genere dell’Est, esso è tuttora obbligatorio e i ragazzi sono convinti che sia una cosa positiva (l’esempio più lampante era dato dai nostri amici israeliani, per ovvie ragioni), mentre per altri, noi italiani in testa, era una cosa strana, quasiinconcepibile. È stato anche questo un modo per confrontarsi con altre culture, oltre che nel vivere quotidiano.
A causa del gran caldo (43° nelle giornate peggiori), quando eravamo in albergo in genere il pomeriggio era dedicato al riposo, meglio se sotto al soffio si un condizionatore; per questa ragione abbiamo giocato moltissimo a carte. Molti ragazzi non erano abituati a questi giochi e spesso non ne conoscevano nemmeno uno, ma con grande impegno e sforzo (e non poco masochismo), siamo riusciti a insegnar loro a giocare a tutte le possibili versioni di briscola e scopa: anche questo un modo per “esportare” la nostra cultura nel mondo.
Dopo due intense settimane piene di emozioni e rocambolesche avventure, è arrivato il giorno della partenza: alcuni, tra cui io e Giacomo, partivamo la mattina prestissimo, alle 4 di notte, ma tutti sono rimasti svegli con noi per passare l’ultima notte insieme e per accompagnarci al taxi per l’aeroporto quando è stato il tempo di andare. Nonostante le timidezze dell’arrivo, alla partenza c’è stato un vero e proprio bagno di lacrime e abbiamo fatto un enorme abbraccio di gruppo: eravamo tutti al sommo della tristezza per doverci separare. Siamo stati una famiglia e ci siamo voluti bene.
a nonostante la lontananza fisica, non ci siamo del tutto separati: tuttora ci sentiamo regolarmente e speriamo di poterci rincontrare presto.
Ringrazio di cuore il Lions Club per l’esperienza che mi ha offerto di vivere, e soprattutto Soen Giacomo, Pietro, Gustaw, Alina, Yolanda, Kostantina, Nayia, Zsofia, Olha, Maximiliane, Aisha, Moritz, Sasha, Gali, Guy e Hardold per aver reso questa avventura indimenticabile.