Sono già passate due settimane da quando ho lasciato l’Indonesia, e il mio cuore lì ci ritorna sempre, pensando al nuovo mondo che ha conosciuto, con le sue bellezze ma anche con le sue miserie.
Ed è quando fai viaggi del genere, così lontani non geograficamente, ma culturalmente, che non sai da dove iniziare a parlare.
“Beh come è stato? Ti sei divertita?” sono le domande ricorrenti che mi portano direttamente in Indonesia o dagli altri ragazzi con cui ho condiviso quest’esperienza, perché possono capirmi davvero.
Non è stato divertente, o meglio lo è anche stato, ma sei troppo impegnato a vivere la loro cultura e ad immergerti nelle loro vite, e se sono vite felici, divertite, allegre, lo sei anche tu.
E nelle famiglie medio-ricche, (che ovviamente sono quelle che mi hanno ospitato perché il divario ricchi-poveri è elevatissimo e i poveri non sono in grado di soddisfare esigenze per loro stessi), si vive bene, anche troppo.
Ho cambiato cinque famiglie, e quando sono arrivata a casa della prima, mi sono trovata in una specie di reggia e ho pensato davvero di non vivere la mia vita, che non era possibile per me stare in un posto del genere, soprattutto quando ho scoperto che con la famiglia ospitante, vivevano anche dei domestici che cucinavano, lavavano, pensavano agli animali (in quasi ogni famiglia indonesiana ci sono polli), guidavano e insomma gli servivano.
Insomma troppo lusso, troppo sfarzo, se pensi che poi a cinquanta metri da te ci sono baracche e persone che vivono e dormono per strada. E vivere per strada lì, soprattutto a Jakarta, nella capitale, comporta subirsi l’inquinamento che è altissimo (quelli che possono permettersi delle macchine non alzano mai i finestrini per l’inquinamento; chi non può permetterseli va in motorino, anche in quattro o cinque, o con mezzi di fortuna e respira nel traffico assurdo solo smog).
Già a Jakarta è iniziato un impatto forte con il Paese. La prima famiglia ospitante ha portato me ed Ezgi, una ragazza turca che ha vissuto con me in tutte le famiglie, in un centro per disabili, senza nemmeno sapere dove stavamo andando. Quando poi usciamo dalla macchina iniziamo a renderci conto per le urla, i pianti e tutte le voci che si sentivano di dove vagamente ci trovavamo. La mia famiglia faceva volontariato lì, portando da mangiare ai bambini. Tutte quelle persone volevano abbracciare me ed Ezgi, ringraziarci (perché quel giorno stavamo distribuendo anche noi il cibo), salutarci, conoscerci…e lì mi si sono presentate immagini forti, per poi sapere che tutto ciò è dovuto soprattutto all’inquinamento, e la maggior parte delle persone di quel centro erano state abbandonate dai genitori che non potevano permettersi di tenere bambini disabili. E allora quel centro era diventato una specie di manicomio, perché un medico con un cuore grande, che ho conosciuto e ci ha fatto anche cantare per far divertire quelle persone, ha deciso di dedicare la sua vita a curare, per quello che si può, queste vite, e trovare un posto dove farle stare meglio, o semplicemente accoglierle.
E siamo volati via da Jakarta per raggiungere Wonosobo. In tutta l’Indonesia eravamo solo dieci ragazzi che erano partiti con i Lions, e così le famiglie ci hanno fatto fare tutto insieme, abbiamo anche dormito in una casa per due giorni tutti quanti, dopo che ci avevano ricevuto con una grande festa con balli tradizionali e cibo a volontà. Quindi da Wonosobo è iniziato il Camp, e dopo aver preso l’aereo Jakarta-Semerang e poi un pullman per 4-5 ore, siamo arrivati a Wonosobo dove tutti ci hanno accolto felicissimi…per poi dirci che ci saremmo dovuti svegliare alle 2.30 di notte per andare a scalare una montagna e vedere l’alba.
E così abbiamo fatto.
E’ stato stancante ma bellissimo, e sempre quella mattina ci hanno portato in posti in cui normalmente gli indonesiani nemmeno possono entrare.
Devo stringere il report perché ci sarebbero troppe cose da dire ma non posso raccontare tutto.
A Wonosobo abbiamo fatto rafting (il mio gommone è stato l’unico a cadere in acqua), ma l’esperienza più assurda di tutto il viaggio, è stato partecipare ad una cerimonia su una montagna di Wonosobo, che è strutturato quasi tutto come un villaggio ma ci sono più di 500.000 abitanti.
Questa cerimonia consisteva nel tagliare i capelli di bambine, per purificare la loro anima. Allora ci hanno vestiti con abiti indonesiani (per l’ennesima volta) e appena siamo scesi dal nostro solito autobus tutti hanno iniziato a fissarci, a salutarci, manco fossimo chissà chi. In Indonesia fanno foto fino a svenire, e così dall’inizio del viaggio tutti noi ragazzi eravamo stupiti per le foto che ci hanno fatto, ma quel giorno non immaginavamo l’importanza della cerimonia per Wonosobo.
C’erano giornalisti, un ministro, e tanta tanta gente che faceva foto…ma non alla cerimonia, a noi ragazzi!!
Eravamo come delle celebrità, ed era ridicolissimo perché nei nostri paesi non siamo nessuno, ma lì tutti si volevano fare foto con noi, parlarci, o toccarci, ed erano felicissimi se ci riuscivano.
Se volevi passare e non ci riuscivi perché c’era troppa gente, bastava che ti guardassero per aprire le acque e farti passare senza problemi.
Siamo anche finiti nella barca dove è avvenuta la seconda parte del cerimoniale, ovvero quando gettavano i capelli nel lago. Sulla zattera c’erano i monaci, due o tre persone importanti (fra cui Mr. Paulus, che ci ha ospitato per due notti a casa sua) e noi ragazzi.
Sempre a Wonosobo ci hanno fatto fare una sfilata indossando i tradizionali batik, siamo finiti sul giornale locale, ma ormai ci sembrava normale essere così ammirati.
Dopo Wonosobo siamo andati a Yogjakarta, dove ci sono templi induisti e buddisti, e nella famiglia c’era una bambina affettuosissima che provava a parlare con noi in inglese, in indonesiano, a gesti, ed aveva solo quattro anni.
E’ mancata molto a me e ad Ezgi…
…e poi da Yogja a Bandung, dove abbiamo fatto una vita più tranquilla, tra massaggi Zen e terme, per poi andare a Bogor, dove in teoria c’era il campo anche se lo stavamo già vivendo.
E’ questa la vita che vorrei fare: viaggiare, scoprire, conoscere persone con mentalità diverse, con modi di fare diversi, adattarmi, fare nuove esperienze. L’Indonesia mi rimarrà sempre nel cuore, insieme a tutte le persone che ho conosciuto o che ho anche solo incontrato, e rimarrà per sempre un ricordo fortissimo, l’esperienza più bella della mia vita, quindi grazie ai lions e a tutti quelli che mi hanno permesso di viverla, qui…e lì…
My hearth come bach always there!
It has already been two weeks since I left Indonesia, and my heart still goes back there.
Thinking about the new world that has known, with its beauties but also with its miseries. And it is when you make such trips so far, not geographically, but culturally, that you don’t know from where you can start to speak.
"Well how was it? Did you have fun? " Are the recurring questions that lead me directly to Indonesia or to the others guys with whom I shared this experience with, because they can really understand me. It wasn’t fun, or rather it has also been, but you're too busy living their culture and being immersed in their lives, and if their lives are happy, funny or cheerful, so are you. And in the medium to rich families, (which of course are the ones where I have been hosted, because the gap between the rich and poor is very large and the poor are not able to take care for themselves), life is very good, too much. I changed between five families throughout my time here, and when I arrived in the first house I found myself in a sort of noble palace. I was thinking that I wasn’t living my life, that wasn’t possible for me to stay in a place like this. Especially when I found out that in the family there were domestics, who also lived in the home; cooking, washing, driving, taking care of the animals (in almost every Indonesian family there are chickens). Too much luxury, too much glitz, and if you think then, fifty meters from you there are shacks and people who live and sleep in the streets. And living on the streets there, especially in Jakarta, the capital, involves the constant breathing in of the pollution that is very dense (those who can have cars never raise the windows to the pollution; those who can not have cars, use motorbikes, even in four or five, breathing the smog of the traffic). Since I’ve been in Jakarta it began a strong impact with the country. The first host family took Ezgi and I, a Turkish girl who lived with me in all families, to a center for disabled people, without even knowing where we were going. Then when we got out of the car we begin to realize vaguely where we were, because of the screams, the tears, and all the noises. My family did volunteer work here, bringing food to the children. All these disabled people wanted to embrace Ezgi and I, thanking us (because on that day we were handing out the food too), greeting us, and wanting to know us ... And there I saw strong situations, knowing also that this high standard of disability is mainly due to pollution, and most people of that center had been abandoned by parents who could not afford to keep disabled children. So that center had become a sort of madhouse, because of a doctor with a big heart whom we met. He even made us sing to entertain those people. He decided to devote his life to trying to cure, for what he can, these lives, and find a place to make these people feel better, or simply welcome them. Then we flew from Jakarta to reach Wonosobo. Throughout Indonesia there were only ten guys who had left with the Lions, and so the families decided for us do everything together. We even slept all together in a house for two days. After they welcomed us with a big party which consisted of dancing and traditional food at will. So from Wonosobo started the Camp, and after taking the Jakarta-Semerang plane and then a coach for 4-5 hours, we arrived in Wonosobo. Where everyone welcomed us very happy ... and then told us that we should have to wake up at 2.30 in the morning to go climb a mountain to see the sunrise. And so we did. It was tiring, but beautiful! That morning they took us to places where normally the Indonesians can not even enter. I have to cut the report short because there would be too many things to say and I can’t tell everything. In Wonosobo we did rafting (my boat was the only one to fall into the water), but the weirdest experience of my entire trip, was attending a ceremony of Wonosobo on a mountain. Which is structured almost like everything in a village but there are more than 500,000 inhabitants. This ceremony was to cut the girls hair to purify their souls. Then the people dressed us in Indonesian clothes, (again and again) and as we got off from our usual bus everybody started staring at us, welcoming and greeting us, like we were someone important. Indonesian people take a lot of pictures and so from the beginning of the journey all ten of us were shocked with the amount of pictures, but that day we did not imagine the importance of the ceremony for Wonosobo. There were journalists, a minister, and a lot of people taking pictures ... but not at the ceremony, at us !! We were like celebrities, and it was very funny because in our countries we are nobody. But here they all wanted to take pictures with us, speak to us, or even touch us, and they were happy if they could. If you wanted to meet someone and you couldn’t because there were too many people, it was enough that they simply look at you to let you pass without problems. We also ended up in the boat where the second part of the ceremony took place, when they threw the hair into the lake. On the raft there were monks, two or three important people (including Mr. Paulus, who hosted us for two nights at his place) and the ten of us. In Wonosobo they dressed us with traditional Indonesian clothes, batik, and we did a fashion show, a catwalk, and we also ended up in a local newspaper. But we started to get use to that “popularity”. After Wonosobo we went to Yogjakarta, where there are Hindu and Buddhist temples. In the family there was a little girl who tried to talk to us in English, Indonesian, with gestures, and she was only four years old. And Ezgi and I miss her a lot ... ... And then from Yogja we went to Bandung, where we had a quieter life, including Zen massage and spas. We then went to Bogor, where in theory there was the Camp, but all of us were already doing everything together so it’s like we were already in the Camp. This is the life I would like to do: travelling, discovering new things, knowing people with different mentalities, with different ways of doing things, to adapting, to having new experiences. Indonesia will always remain in my heart, along with all the people I knew or that I have just met. They will forever remain a very strong memory, the most beautiful experience of my life. So thanks to the Lions and to all those who have allowed me to live those magic Indonesian moments, here... and there ...