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ITALIA: what else?

Texas, Texas, Texas.
E’ ciò a cui ho pensato per più di tre mesi, prima che tutto fosse effettivamente reale. 
Era il 29 giugno quando ho preso il volo per quel lunghissimo viaggio. Attraverso l’oceano e non mi sembra neanche di aver fatto tanta strada. Le prime persone che vedo sono anche le ultime che poi, dopo cinque incredibili settimane, ho salutato. 
Le riconosco subito: sono la mia futura host mum e host sister. Sorridono e mi salutano. Accidenti, penso, sono proprio loro. Ricambio il sorriso, un po’ stanca, ma c’è troppo da vedere e i miei occhi si poggiano su tutto quello che vedono, osservando tutto con attenzione, come potrebbe fare un bambino con un nuovo gioco. Poi il resto della famiglia si fa vedere e conosco mia sorella più piccola e mio fratello, che aveva propriamente portato un suo amico a conoscermi per darmi uno dei più calorosi benvenuti che si possano desiderare (gli americani fanno le cose in grande..).

L’avventura inizia ora! Dice mia sorella. Mai cosa più vera è stata detta. Siamo a casa ed è tutto già cosi familiare: hotdogs per cena, ovviamente. 
Iniziamo a conoscerci e subito entriamo in sintonia e anche con il jetleg sulle spalle vado avanti ridendo e scherzando con le persone più divertenti che potessi sperare di incontrare come famiglia ospitante!
E la settimana parte alla grande, con le più belle ed enormi colazioni di sempre, che per la cronaca non mi sono mai stancata di fotografare! Passiamo le giornate tra le chiacchere e le nuotate in piscina, ridiamo con il pappagallo e giochiamo con il cane. La sera usciamo con gli amici delle mie sorelle e passiamo il tempo guidando senza meta per le gigantesche strade texane, con il vento tra i capelli e le casse al massimo nel retro di quel bellissimo trac color celeste. E nessuno smette mai di far domande sul mio paese. Voi avete questo in Italia? Si.. solo più piccolo. E non parliamo delle scappate per il gelato alle undici di notte, perché andare in pigiama fino a DQ’s e prendere una banana split, posso assicurare, vale la pena. Totalmente. E poi perché non andare anche da Walmart per comprare il DVD di Frozen, solo perché io non l’ho mai visto, evidentemente in Texas non è concepibile!!
Altre risate e altri amici, altre corse con la Mustang e altre cose nuove. Poi arriva una ragazza dal Belgio che aveva fatto la mia parte due anni fa: altro divertimento e risate a non finire. 
E’ la migliore settimana della mia vista, sto crescendo e non me ne rendo conto; ogni giorno è completamente nuovo all’altro. Conosco e imparo cose che di un altro paese, il quale mi ha aperto la porta a un universo parallelo che davo per scontato, o forse ignoravo semplicemente. 
E tra un pancake e l’altro la settimana passa e trascorre velocemente, come se stessi qui da sempre, e sembra lo stesso anche per le mie sorelle: non vogliamo lasciarci. Non voglio andare in camp, dico. Ci rivediamo tra una settimana, mi rassicurano loro. Ed ecco che si rischiude la valigia per l’avventura numero due. Lake Texoma, arrivo. Guidiamo dritto per due ore. Siamo arrivati. Il posto è grande, c’è la spiaggia e il lago sembra favoloso. Rivedo alcuni dei ragazzi che ho già incontrato durante la prima settimana, quando siamo andati tutti insieme a visitare il museo di Kennedy, a Dallas. Scopro con chi sono in camera e già inizio a non sentirmi più triste quanto prima. Tutti sono un po’ timidi ma ci fanno presentare e ben presto siamo tutti in spiaggia, costume e pallone da calcio. Ci chiamiamo per paese di provenienza e la cosa è divertente, ma non quanto imparare cose nuove e diverse l’uno degli altri. Entriamo letteralmente in contatto con una moltitudine di diversità, ma ci piace, è interessante e quasi strano, perché siamo tutti li e nessuno conosce l’altro. Allora ogni cosa diventa una pura curiosità, che nasce soprattutto dalla voglia si sapere dell’altro e non di farti conoscere.
La sera trascorre con il divertimento che solo 25 ragazzi da tutto il mondo possono creare: tra film, balli e musica la sera siamo talmente stanchi che a fatica ritorniamo nelle nostre stanze. Ma la giornata successiva non ci da il tempo di riprenderci perché siamo automaticamente ricaricati per tutte le cose che dobbiamo fare. Perché, se non ci sono bastati il getsky e le moto d’acqua e il tube, e le barche il lunedì, la settimana sembra ancora tanto lunga e impegnativa: tra la riserva naturale, la prigione, il giudice di corte, il museo, l’Alamo, e tanti caffe da Starbucks, ogni giorno torniamo distrutti ma con il più grande sorriso stampato in faccia. 
E’ inevitabile, stare insieme ci porta a ridere e stare bene, ogni cosa la facciamo sembrare ancora più bella e interessante di quello che è, e la moltitudine di selfies non ci fa credere a quante persone possano rientrare in un solo piccolo schermo. 
E anche questa settimana passa velocemente, in po’ troppo in effetti.. Ma è già sabato e abbiamo preparato uno spettacolo speciale per tutte le famiglie e tutti i Lions. Allora balliamo e cantiamo e facciamo ridere il pubblico, anche per ringraziarli, in una qualche maniera, per tutto quello che ci hanno fatto fare. Alcune delle performance sono davvero esilaranti e pur essendo stai svegli fino alle tre del mattino la sera prima per preparare tutto quanto, siamo carichi al punto da cantare la nostra camp song sventolando le bandiere ognuno per il proprio paese. Il momento dei saluti poi è sempre il più brutto, perché a tutti piacerebbe giocare un’ ultima partita a basket o fare gli ultimi lanci a football, e magari fare solo un ultimo tuffo al lago; ma sappiamo almeno che passata un’altra settimana in famiglia, ci rivedremo tutti ad Austin. 
Torno quindi a casa felicissima di vedere la mia famiglia e di raccontargli tutto! Ridiamo tutte le risate che non abbiamo avuto per una settimana della mia assenza, e trascorriamo la terza migliore settimana della mia favolosa, mitica, indimenticabile estate. E detta cosi potrebbe sembrare un’ esagerazione bella grande: perfino io che scrivo trovo strano abbinare certe parole alla mia storia, ma viene tutto naturale perché so che qualsiasi aggettivo che possa esprimere il mio stato d’animo di quei giorni, può essere utilizzato. Perché ero felice. Davvero, davvero felice. Mai un giorno ho sentito la mancanza della mia famiglia, e non perché comunicavamo tutti i giorni, ma perché sentivo che tutto quello che avevo attorno era mio, una mia occasione che solo io potevo coltivare e far crescere, proprio come sono cresciuta io in sole cinque settimane. E ancora ora penso all’idea di tornare a trovare quelle meravigliose persone che mi hanno accolto e trattato proprio come se fossi stata una loro figlia o sorella. E per ogni università che abbiamo visitato ho avuto la possibilità di chiedere tutto ciò che potesse interessarmi per i miei studi, e ho trovato davvero tutto ciò che potessi cercare!! Sono stata incredibilmente soddisfatta di tutto quello che abbiamo visto e tutti le persone che ho conosciuto, sia a Austin che a Lubbock, dove per la cronaca mi avevano detto che non mi sarei divertita, beh, evidentemente si sbagliavano, perché ho passato la quarta migliore settimana nella piccola cittadina texana che ci ha fatto seriamente incontrare la gente più rilassata e divertente grazie alla quale abbiamo conosciuto il divertimento del Texas come non lo avevamo mai visto. Perché non ricorderò tutti i balli country che ci hanno insegnato come ricorderò invece le corse per le montagne russe nel parco divertimenti, sia chiaro. Quella serata ha segnato la nostra avventura texana come poche!! E sento ancora il dispiacere nel lasciare quella bellissima coppia che ha ospitato me e la ragazza spagnola anche solo per poco, perché in soli quattro giorni eravamo riusciti a instaurare un rapporto speciale, diverso ovviamente da tutti gli altri. 
E sulla via del ritorno a casa ci aspettava già la nostra ultima migliore settimana. Giunti al termine. Nessuno vuole crederci. Perché a nessuno piacciono i saluti, gli addii. E guidare dritto (letteralmente) per sette ore consecutive, ci ha fatto venire la nostalgia che abbiamo ora nel riguardare vecchie foto di gruppo, tutti con la stessa, luminosa, maglia arancione del Lions Club del grande Texas. 
Ma torno a casa sempre più contenta di essere con le mie sorelle, e ancora non so quanto io possa volere bene a ognuna. Rimaniamo sveglie fino a tardi, parliamo di tutto e niente, scherziamo e balliamo, cantiamo e mangiamo Oreo a tradimento all’una di notte. E anche gli ultimi giorni passano veramente troppo in fretta perché mi ritrovo sempre più di frequente a domandarmi come farò a far stare tutto nella valigia: ma a quanto pare trasportare fratelli nella stiva dell’aereo non è propriamente legale. Però ho ancora le mie ultime avventure da fare! Six flags mi sta aspettando e i Texas Rangers devono (dovevano) vincere contro l’Oklahoma! 
Il baseball non piace a tutti ma noi ci facciamo sentire dagli spalti, nella più calda giornata di luglio. Rimaniamo fino all’ottavo inning, salutiamo tutti per la penultima volta e torniamo a casa.
L’ultimo incontro che facciamo è il mio ultimo sabato, parto il giorno successivo e, giuro, non ne ho proprio voglia. 
Il sole sta quasi per tramontare. Mi prometto di non piangere se non il giorno dopo. Non voglio piangere quando posso ridere fino a scoppiare un’ ultima volta, dico. Ma come fai? Accidenti sono i miei amici e li sto per lasciare, quando li rivedrò? Quando ci incontreremo ancora? Quando. Quando. Quando. Ancora non ci penso, non voglio. Ci stiamo solo abbracciando tutti per la milionesima volta nel giro di un paio d’ore. Abbiamo ballato come il Texas ci ha insegnato, ma ora il tempo scorre sotto i nostri occhi e in mezzo alle nostre risate. Ci abbracciamo ancora e cantiamo per l’ultima volta la nostra canzone, sventolando le nostre bandiere, ricordando la nostra estate, brindando alla nostra amicizia e ringraziando tutti con il cuore per il regalo migliore che potessimo ricevere: esserci incontrati. I minuti continuano a passare e le lacrime pian piano scendono e scorrono sulle guance di tutti, sono ancora forte e non smetto di sorridere, proprio non ci riesco. Mi lascio andare sulla via del ritorno, con il sole che sta calando; stai su, dico, se rimani in cielo ancora un po’ sarà domani più tardi. 
Passiamo la serata svegli e un po’ tristi. Provo a ricordare tutte le giornate passate in quella casa, al lago, a Austin, a Lubbock e ovunque, tutto pur di non scordare qualcosa. Dormo per l’ultima volta in quel letto, e penso che mi sono perfettamente abituata a tutta l’aria condizionata che usano in America, e che quindi potrei restare! 
Resta, mi dice mia sorella il giorno dopo, disfa la valigia e resta. E non ha nemmeno idea di quando io voglia la stessa cosa. Con fatica porto le borse di sotto e mi preparo per un altro lungo volo. Ogni volta che ci guardiamo, però, le lacrime non si trattengono facilmente: come possono? Alla fine è quasi peggio rimanere li e aspettare di prendere quel dannato aereo. Perché anche tutti i miei amici sono già in volo verso casa, mentre io sto cercando il modo di distrarmi, e guardare l’orologio ogni cinque minuti non serve. Arrivati all’aereoporto non so più se piangere o ridere. Le emozioni si accavallano e dover salutare la mia famiglia fa sentire cosi tristi. Pero allo stesso tempo so anche che tornerò, e che non sarà questa l’ultima volta per noi. Ci sono cosi tante estati e cosi tanti modo per rimanere in contatto, se pur separati da un oceano. 
Salgo sull’aereo. Sto tornando a casa, e potete credermi se scrivo che arrivata in Italia hanno fatto fatica a riconoscermi dalla foto del passaporto. 

“Bene, ora che ti ho visto posso tornare indietro?” ho detto a mio padre appena atterrata.

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