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ITALIA: what else?

… alcune ore dopo…

“Salve, ho deciso di accettare la Nuova Zelanda”

Da questi due semplici messaggi inizia la mia indimenticabile esperienza in una terra tanto lontana quanto affascinante e selvaggia.
Nonostante le mie parole trasudino decisione e fermezza, nell’accettare la proposta di un luogo così distante e diverso dall’abituale non nego di aver avuto i miei tentennamenti.
Tante le domande che mi sono posto e soprattutto tante le incertezze che ho avuto nel decidere di affrontare il mio primo vero viaggio da solo, un viaggio che sapevo sarebbe stato lungo, magari non semplice in alcuni momenti, ma che allo stesso tempo mi avrebbe permesso di mettermi in gioco, di testare e superare i miei limiti e, per questo, di maturare.

Dopo alcuni mesi vissuti in un vortice di entusiasmo e paura, è finalmente arrivato il momento tanto atteso: il giorno 9 luglio alle ore 20:30 è partito l’interminabile volo che mi ha condotto verso questa terra che oramai sento parte di me, la splendida Nuova Zelanda.
Devo dire in realtà che le difficoltà aspettate non hanno tardato a palesarsi, rendendo il mio arrivo ed i primi giorni assolutamente negativi.
All’aeroporto di Dunedin nessuno è venuto ad accogliermi e l’anziana signora che mi ha ospitato inizialmente, pur essendo molto gentile e premurosa nei modi, si è dimostrata inadatta ad accogliere un ragazzo come me, pieno di voglia di fare e di scoprire.
Dopo alcuni pomeriggi passati d’innanzi alla TV o in visita per le farmacie della piccola città di Oamaru ho deciso di chiedere un trasferimento, cosa che i Lions, con grande prontezza e attenzione, non hanno tardato a concedermi.
È quindi iniziata, con un ritardo di solo qualche giorno dovuto a questo inconveniente, la mia vera esperienza nell’isola sud della Nuova Zelanda.
La nuova famiglia mi ha subito fatto sentire a mio agio proponendomi, già nel tragitto per raggiungere casa, una lunga serie di attività interessanti e del tutto nuove per me.
Ho infatti avuto la fortuna di capitare in un’immensa fattoria sui colli di Oamaru, dove ho potuto, per una decina di giorni, immergermi completamente nella vita di campagna e fare cose che per un ragazzo di città sono assolutamente nuove ed irripetibili.
All’andare a caccia di cervi e al tosare le pecore inoltre, si sono affiancati anche altri bellissimi momenti come le gite nelle splendide città circostanti (Queenstown tra tutte), gli uno contro uno a basket col mio host-brother , i go-kart, i pinguini, le partite di rugby di un ragazzo irlandese che questa famiglia ospitava insieme a me o anche le semplici riunioni serali della famiglia che mi hanno fatto sentire più di tutto uno di loro.
Avendo inoltre sia un host-brother che una host-sister pressappoco della mia età, è stato molto semplice entrare in confidenza con loro e stabilire un certo feeling che tutt’ora continuiamo a coltivare tramite chiamate e messaggi.


Dopo queste splendide due settimane passate tra novità, scherzi e bei momenti è purtroppo arrivato il momento di separarmi dai McAttemney e, solo dopo qualche lacrimuccia, prendere il volo per l’isola nord, la seconda fase della mia esperienza.
Qui, fortunatamente, tutto è andato per il meglio sin da subito e la mia nuova host-family, la famiglia Riddle si è rivelata subito intraprendente e piena di voglia di ospitarmi al meglio, soddisfacendo ogni mia richiesta ed anzi, a volte facendo molto più del necessario.
Pur essendo anche loro anziani, i Riddle hanno saputo colmare magnificamente il gap di età e di interessi e posso dire di essere stato a casa solo lo stretto necessario.
Ogni sera mi facevano scegliere su una locandina per turisti il posto da visitare il giorno dopo o l’attività da svolgere e mi ci portavano senza alcuna lamentela, anzi mi pareva leggere nei loro occhi la mia stessa voglia di scoprire e di mettermi in gioco.
Il tutto è stato sicuramente facilitato anche dalla presenza di Emanuele, un ragazzo di Modena con cui ho condiviso parte della mia permanenza nella città di Cambridge.
Con lui sono nate da subito un’amicizia ed una complicità che proseguono tutt’ora e tante sono state le risate ed i bei momenti trascorsi insieme.
Dopo la sua partenza, una settimana prima di me, la mia host-family ha continuato a fare di tutto per intrattenermi al meglio, forse anche più di prima, essendo agevolata dalla presenza di un solo ragazzo anziché due.


Tra le esperienze più gradevoli posso di certo citare il week-end nella loro casa al mare, le giornate a pesca, la visita in città bellissime e molto caratteristiche o ancora il villaggio maori, le sorgenti termali e tanto altro.
La cosa che però più di tutte mi ha dimostrato la loro volontà di farmi sentire a mio agio è stata l’invitarmi al compleanno della loro nipote, festeggiato volutamente in un ristorante italiano. La pizza ordinata quella sera è stata il simbolo dell’ormai profondo legame tra me e loro.
La cosa che poi ha reso il tutto ancora più unico è stata la grande organizzazione del Lions Club di Cambridge. Alcuni dei loro membri infatti mi hanno coinvolto in attività locali come la vendita di beni di seconda mano, altri invece hanno addirittura voluto aiutare i Riddle, portandomi in giro quando loro non ne avevano la possibilità per motivi di lavoro.
Uno speciale ringraziamento va infatti anche alla famiglia Surgenour che è stata quasi una seconda host-family per me. La cosa che più ho apprezzato, oltre alla loro gentilezza, è stata il fatto che hanno avuto il desiderio di farmi visitare posti nuovi senza che io lo chiedessi e senza tantomeno ricevere nulla in cambio, la loro è stata pura generosità nei miei confronti.
Tra le escursioni più belle con i Surgenour ricordo quella alle cascate di Whangamata e soprattutto la visita ad Auckland, in quello che ho descritto ai miei genitori come uno dei giorni più belli della mia vita.
Si è quindi conclusa, dopo un mese fantastico, la mia esperienza in Nuova Zelanda, un’esperienza che porterò sempre dentro di me, non solo per gli splendidi paesaggi visitati, e le attività svolte, ma anche per le persone conosciute, persone che hanno saputo farmi sentire come uno di loro, aiutandomi a maturare e dandomi la possibilità di mettermi in gioco come mai fatto prima.
Spero per questo che il mio non sia un “addio”, ma solo un “arrivederci” a questa terra che, come detto, ora sento parte di me.