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ITALIA: what else?

Ricordo come se fosse ieri il momento in cui sono arrivato all’aeroporto di Roma accompagnato dai miei genitori, in un misto di agitazione e frenesia.
Era la prima volta che salivo su un aereo, immaginiamoci per un viaggio che sarebbe durato più di 20 ore, la prima volta che avevo a che fare con check-in, terminal, gate, scali.
In un battito di ciglia, quasi senza che me ne accorgessi, mi sono ritrovato nel sedile 45A pronto per una nuova avventura.
Avevo scambiato qualche mail nei giorni che avevano preceduto la mia partenza con Peter e Glenys, i miei host parents e fin da subito avevo capito che sarei stato ospitato da due splendide persone.


Entrambi in pensione, mi avevano spiegato che si erano conosciuti ai tempi delle superiori ma che solamente una decina di anni fa si erano sposati con l’obbiettivo di trascorrere il resto della loro esistenza insieme, viaggiando e visitando luoghi che non avevano potuto vedere in gioventù.
Stremato dalle tante ore di volo e dalle poche ore di sonno finalmente atterro a Sydney ed all’uscita del gate, eccoli li, Peter e Glenys, con un foglio con su scritto il mio nome, insieme e sorridenti come nelle foto che mi avevano inviato.
Saliamo in macchina e ci dirigiamo verso quella che per 3 settimane avrei chiamato “casa”.
Una piccola villettina in legno nella periferia di Sydney in un paesino di 6000 abitanti chiamato Raymond Terrace, con un grande giardino in cui il gatto Ducati, il cane Dinoza e qualche gallina erano liberi di scorrazzare.
Le giornate successive erano scandite da programmi ben precisi organizzati da Glenys e le altre 4 famiglie ospitanti della stessa città.
La sera del mio arrivo ho infatti conosciuto gli altri ragazzi che come me erano ospitati in Raymond Terrace: una ragazza tedesca di nome Hanna, l’indonesiana Pamela, un ragazzo turco di nome Alper e la sua connazionale Sevin.
Ogni giorno è stato vissuto a fondo, tra escursioni, visite nelle città vicine, giornate di beneficenza al parco e attività sportive.
Inoltre le famiglie sono sempre state disponibili nel farci partecipare a qualsiasi attività noi volessimo.


Per esempio ricordo benissimo il giorno in cui ho avuto la possibilità di fare una lezione di surf, probabilmente la più bella attività della mia vita, immortalata dalla macchina fotografica di Peter che sulla spiaggia scattava foto mentre cercavo di districarmi tra mare agitato ed acqua fredda.
Se la mia permanenza a Raymond Terrace è stata indimenticabile lo devo anche ai ragazzi conosciuti sul posto.
Ho stretto infatti una forte amicizia soprattutto con i due ragazzi turchi che sicuramente andrò a trovare ad Istanbul appena ne avrò la possibilità.
Allo stesso modo mi sono già messo d’accordo con Peter e Glenys per ospitarli il prossimo anno nel mese di maggio durante un loro viaggio in Italia.
Il viaggio, come previsto, mi ha visto il 21 luglio salutare Raymond Terrace per spostarmi a Morriset, una piccola cittadina in cui era stato organizzato il camp.
Al mio arrivo fin da subito mi è saltata all’attenzione il numero e la diversità di ragazzi che avevo dinanzi a me: occhi a mandorla o rotondeggianti, dalle alte stature alle più basse, carnagioni di varie tonalità, occhi chiari, scuri, capelli biondi o castani, insomma, ce ne erano di tutti i tipi.
Non ho avuto neanche il tempo di posare la mia valigia a terra che quella moltitudine di ragazzi mi si stava presentando uno ad uno.
In quel momento ho capito che nonostante le precedenti 3 settimane erano state divertenti ed emozionanti, la permanenza nel camp non sarebbe stata da meno.
Li infatti ho conosciuto ragazzi da tutto il mondo come Eerik dalla Finlandia, che ci ha spiegato che nella sua terra ci sono più saune che macchine, oppure Roberta dal Messico che mi ha insegnato come ballare alcuni passi di salsa oppure Aden dalla stessa Australia, che la mattina nonostante la temperatura fosse di 10 gradi, si presentava in calzoncini e maniche corte.
Le giornate al campus sono passate velocissime vista la moltitudine di attività organizzate ogni giorno: pic nic all’aperto, escursioni, giochi, attività di gruppo, tanto veloci che senza che me ne accorgessi il 29 luglio ero già sull’aereo di ritorno.


Sono ritornato però con un bagaglio di esperienze indecifrabile, orgoglioso allo stesso tempo della mia nazione quanto affascinato dalle culture altrui.
Per questo motivo voglio ringraziare l’associazione Lions che mi ha dato la possibilità di partecipare a questo progetto e a tutte le persone che lo hanno reso possibile.

Grazie di cuore a tutti.