Sono state le prime parole che, la simpatica e sorridente signora di mezza età che di li a poco sarebbe diventata la mia host mother, ha pronunciato riconoscendomi all’uscita dell’aeroporto di Sydney.
Dopo quasi un giorno intero di volo infatti, ero arrivato nella città che fin da quando ero bambino sognavo di vedere.
La stanchezza dovuta a quel viaggio a dir poco infinito però, non mi ha impedito di godermi al massimo la visita di quel luogo così vivace e rumoroso e delle sue uniche bellezze.
Da Sydney quindi, insieme a Sue (la mamma), Maxime ed Abby (il ragazzobelga e la ragazza americana con cui avrei dovuto condividere buona parte del tempo in famiglia), siamo partiti alla volta di Forster, il paesino costiero a 4 ore di macchina dove avremmo abitato per tre settimane.
Il tempo in famiglia è volato tra numerosi barbecue organizzati tra famiglie ospitanti per permettere a noi ragazzi di fare amicizia, giornate in spiaggia tentando di cavalcare le onde su una tavola da surf, e lunghe camminate alla ricerca dei canguri.
Siamo poi andati a cavallo, visto i koala, e passato cinque giorni in unsorridente paesino dell’Outback, primo produttore di opale del New South Wales.
Ho anche avuto l’opportunità di scoprire a apprendere la culture aborigena, una delle cose che mi rimarrà sicuramente più impressa di questo viaggio.
La famiglia che mi ospitava aveva in casa diversi pappagalli coloratissimi e socievoli e due meravigliosi cani a cui mi sono affezionato dal primo momento in cui li ho visti. La notte addirittura condividevo il letto con il più vecchio dei due. Sue e Wayne sono stati in tutto e per tutto la mia famiglia durante questo periodo e come tale non mi hanno mai fatto mancare niente, nemmeno le gioia che con i loro splendidi caratteri, riuscivano ad infondermi giorno dopo giorno.
Gli “arrivederci” sono stati le cose già difficili.
Il campo è stata l’esperienza migliore di tutto il mese in Australia.
La tensione di trentaquattro ragazzi, provenienti da tutto il mondo, che da un giorno all’altro si sono ritrovati a dover condividere qualsiasi cosa tra di loro, è scomparsa dal primo momento in cui, in un gigantesco gruppo, abbiamo cominciato a conoscerci e ad instaurare nuovi rapporti di amicizia.
Lo staff ha poi giustamente saputo come gestirci, organizzandoci in sei squadre e assegnandoci dei compiti da svolgere nella giornata che ci spettava.
Il programma del “Camp Krokodile” è stato particolarmente inteso ma coinvolgente. Divisi in due distinti gruppi infatti, abbiamo imparato a surfare, a fare canottaggio e kayak, a costruire una zattera e a giocare a dodge ball australiano.
Le amicizie quindi si rafforzavano ogni giorno di più, tra il tempo speso a cantare tutti insieme, le risate e l’allegria.
L’ultimo giorno è stato quello più doloroso. Dover salutare qualcuno che ha cominciato ormai a fare parte della tua vita, non è mai facile.
Ma sono molto grato per l’esperienza unica che ho vissuto e spero di rincontrare le persone meravigliose che mi hanno accompagnato in questo viaggio speciale.