1 luglio 2018. Un ragazzo, che considera la Svizzera come il paese più esotico in cui sia mai stato, parte da solo su un aereo in direzione Sofia, Bulgaria.
“Per fortuna questi aerei fanno una sola fermata, e sai quando devi scendere”, pensa, dato che non ha molta dimestichezza con questi viaggi.
Arrivato in aeroporto, la preoccupazione primaria è di sistemare l’orologio un’ora avanti e di raccapezzarsi con le scritte in cirillico dei cartelli.
Quella secondaria è di tenere a freno l’eccitazione e mettere una musica che creasse la degna colonna sonora per il mio arrivo in Bulgaria.
Parte prima – Back in the U.S.S.R., The Beatles
Ho ascoltato questo brano mentre mi aggiravo per l’aeroporto, e mi è parso veramente adatto all’occasione. Se infatti la canzone tratta, ironicamente, di un ipotetico ritorno del protagonista nell’Unione Sovietica, così anche a me pareva di essere stato catapultato nel pieno dell’est Europa. La sensazione, un misto di straniamento e meraviglia, si è acuita quando, dopo aver incontrato la delegazione Lions in aeroporto, mi è stato detto che il posto dove avrei alloggiato distava circa 300 chilometri e che dovevo prepararmi a tre ore buone di viaggio in auto: proprio la possibilità di vedere fuori dal finestrino il paesaggio e le strutture costruite dall’uomo, nonché di chiacchierare abbondantemente con l’autista e sua figlia, due bulgare ma con un ottimo livello d’inglese (e non dimentichiamoci di Vakare, la ragazza lituana che sedeva accanto a me) hanno portato a galla in me l’aggettivo giusto per l’ambiente che mi si profilava attorno: sovietico. Non voglio dare a questo termine un’accezione politica o radicalmente socio-culturale, vorrei indicare invece con questo aggettivo l’impressione chiara e vivida che ho avuto nel primo contatto con la vita bulgara. E’ come se sovietica fosse l’atmosfera, quasi fosse l’ambientazione del film che stavo per vivere. Per sovietico intendo quel modo di vedere la realtà, comprensivo della scuola, del lavoro, del tempo libero, dello sport, della religione, del patriottismo, dell’autorità e insieme un peculiare stile architettonico e urbanistico che corrisponde ai modelli che la tv, i libri, i film, la storia e la geografia studiata a scuola propongono in blocco per tutti i paesi slavi che hanno risentito fino agli anni ’90 dell’influenza dell’URSS. Con questo non voglio dare un giudizio positivo o negativo, né dire che ho vissuto situazioni stereotipate o che davo per scontate, piuttosto invece vivevo costantemente l’esaltazione tale quale a chi sta vedendo un adattamento cinematografico e nota con entusiasmo che esso corrisponde a quanto letto nel libro (anche se qui l’adattamento alla situazione era il libro, non l’esperienza reale). Le sensazioni di questo le provavo quando mi aggiravo per le strade non ancora asfaltate di Svilengrad, la città dove ho alloggiato la prima delle due settimane là in Bulgaria, e vedevo case non intonacate e grossi cagnoni ai cancelli (mi è stato spiegato che sono dei fantastici antifurto), grandi palazzi con l’aspetto di casermoni e per via vecchie auto; oppure quando assistevo le impeccabili performances dell’ordinatissima squadra di majorette (almeno fino a che non rompevano le righe) e le dimostrazioni di bravura al tennistavolo (che, va detto, assomigliavano tanto alle partite a ping-pong diForrest Gump); ma soprattutto quando, in vista dell’incontro formale con il sindaco, ci hanno istruito per filo e per segno sul comportamento da tenere nei confronti dell’autorità (che tra l’altro andava omaggiata di un regalo, da parte italiana consistente in un pacco di caffè e una bandiera, beni con cui credo di aver garantito la pace tra Bulgaria e Italia per molti anni e soprattutto un’ottima bevanda per i momenti di relax del signor sindaco, anche così si compie la burocrazia). Ora però è il momento di ritornare all’auto che sta portando me e la lituana Vakare a Svilengrad, ultima città della Bulgaria prima del confine turco, e al tragitto un po’ dissestato su strade ora non asfaltate: è notte, e mentre sento le ruote crocchiare sulla ghiaia davanti al nostro futuro alloggio, una certa melodia dai suoni bassi e incalzanti mi suona nella testa.
Parte seconda - L’ultima diligenza per Red Rock, Ennio Morricone
Proprio mentre scendo dall’auto e aiuto a scaricare i bagagli dal baule penso a questa traccia musicale del film The Hateful Eight di Quentin Tarantino: esattamente come i protagonisti della pellicola, otto sconosciuti che si ritrovano, loro malgrado, a convivere in un emporio in attesa che la tormenta di neve al di fuori passi, così io ho appena scoperto che saremo in otto tra ragazze e ragazzi (piccola nota: l’unico maschio ero io!) a passare la settimana insieme in un appartamento della “River House”, affidati quotidianamente alle cure di una famiglia, ogni giorno diversa, che ci cucini colazione e cena e ci porti in giro a svolgere svariate e sempre intriganti attività. In realtà, il paragone era solo superficialmente adatto, perché a differenza degli “Odiosi Otto” del film, noi abbiamo subito legato, fatto amicizia e condiviso le culture. Nemmeno definire l’auto con cui sono arrivato Ultima diligenza non è completamente appropriato, perché io e Vakare non siamo gli ultimi: le finlandesi Janna e Nea, assieme all’olandese Monika, arriveranno un paio d’ore più tardi. Sono infatti ormai le 9, e dentro l’appartamento c’è una specie di festino di benvenuto e una cena a base di anguria, formaggio e pane aromatizzato, il tutto da servirsi rigorosamente con le mani. Sedute al tavolo ecco le prime persone con cui faccio conoscenza: Anna e Alice, due venete con cui è impossibile non fare amicizia (noi tre, e in seguito dalla seconda settimana con l’aggiunta di Luca, costituiremo una solida enclave italiana in territorio bulgaro); alla mia sinistra compare invece la finlandese Mejia. La tavola è però lunga, e i tanti posti a sedere sono riempiti da ragazzi e ragazze bulgare, pronti ad accoglierci nel migliore dei modi. Va detto infatti che non siamo mai stati soli nelle attività che svolgevamo lì a Svilengrad, siano esse state visitare musei o andare in piscina: noi otto “protagonisti” eravamo sempre accompagnati dai ragazzi del posto, siano essi stati veri e propri “comprimari”, seguendoci ogni giorno e stando con noi anche nei momenti di riposo, o semplici “comparse” di un giorno o di una serata, ci hanno fatto sentire parte di un gruppo. Miracolosamente, e a riprova del fatto che hanno davvero lasciato il segno, mi ricordo ancora tutti i loro nomi (anche perché sono talmente strani che è dura dimenticarseli). Anche tra noi otto la coesione non mancava. Il collante più forte che ci ha legati è stato il gioco. Imparare (o viceversa, insegnare) un gioco di carte e poi giocarlo tutti assieme, o prendere un pallone, 4 ciabatte (per fare le porte, s’intende) e improvvisare una partita internazionale di calcio, così come partecipare tutti assieme a un nascondino su vasta scala o giocare in coppie miste a scacchi, sono tutti momenti per fare gruppo nonostante le diversità culturali. L’obiettivo primario degli scambi del Lions club non è forse favorire la coesione tra popoli? Ecco, questa passa anche attraverso un pallone o una carta da gioco. Altri momenti invece erano più prettamente culturali ed era inevitabile che noi otto venissimo eruditi sull’antica tradizione bulgara. E per parlare più approfonditamente di ciò, saltiamo alla seconda serata, a quando io sommessamente canticchio un motivetto bulgaro appena appena imparato.
Parte terza – Edna bulgarska roza, Pasha Hristova
Se c’è una cosa di cui i Bulgari vanno particolarmente fieri, è la loro cultura. E qui, con uno sguardo più introspettivo, nonostante la Bulgaria mi fosse apparsa ad una prima occhiata più superficiale come il classico paese dell’est Europa, ho scoperto che hanno un’identità e delle tradizioni fortemente proprie. Così, se forse sarebbe andata bene l’iniziale etichettatura di paese “slavo, sovietico” per una persona che non conosce la cultura bulgara, io mi sono dovuto ricredere. Non sono mai mancate le occasioni per imparare qualcosa sulla tradizione bulgara, come gite a musei, monumenti o cene tipiche, ma quello che più mi è rimasto inculcato nella mente è la loro passione per la musica. La seconda serata lì a Svilengrad, dopo un lauto pasto a base di prodotti tipici (e sulla cucina mi soffermerò dopo, ma quanto sono buoni i loro cibi tradizionali?) e dopo una breve presentazione sul territorio e la ricchezza culturale bulgara, i nostri Anfitrioni (adesso anche nelle vesti di Ciceroni) tirano fuori una cassa e ci piazzano davanti un testo di canzone, ovviamente in bulgaro, ma grazie al cielo, non in cirillico (sulla scrittura c’è un appunto da fare perché, dopo essermi posto in testa che dovevo imparare a leggerlo, sono andato in giro per la Bulgaria a leggere ogni cartello in cirillico che incontravo, ovviamente suscitando reazioni ilari nei miei accompagnatori sia per la mia evidente fatica che per la pronuncia orribile). Il testo parlava della rosa bulgara, la bulgarska roza appunto, uno dei prodotti di cui vanno più fieri e che mettono dovunque, dalle saponette ai budini. La mia aspettativa era di cantarla e finirla lì, anche perché mai mi sarei immaginato di ricordarmi una canzone in lingua bulgara, per altro ascoltata una sola volta nella vita. Eppure, sarà stato l’amore per la loro terra che mi hanno trasmesso o sarà stato il ritmo orecchiabile, quella canzone non me la sono più scordata. Mi sono scordato invece, e chiedo scusa ai bulgari, i passi di danza dei loro balli tipici, ma sono stato sempre profondamente negato nel ritmo, e quei balli ne richiedevano parecchio. Indimenticabile invece è stato il cibo e l’intrufolarsi dei cetrioli in ogni piatto che mangiavamo, sia stato esso a colazione, a pranzo o a cena. Il cibo è forse l’elemento che più fa da collante e al tempo stesso caratterizza la cultura, è veramente il mezzo universale per comunicare e fare comunità... almeno quando lo sai cucinare. Perché fu così che io, Anna e Alice, indegni rappresentanti dell’identità culinaria italiana, volendo ringraziare i nostri ospitanti per il buon cibo da loro servitoci, cucinammo (non senza l’aiuto internazionale di Finlandia, Lituania e Bulgaria) due pizze, l’una cruda, l’altra bruciata (sorvoliamo sul fatto che l’addetto al forno ero io). Avremmo avuto la nostra rivincita più tardi, durante la seconda settimana, durante la prova culinaria sulla preparazione del pane. Ma per parlare più approfonditamente della seconda settimana di scambio, bisogna salutare con una lacrimuccia Svilengrad e tutte le amicizie che abbiamo lasciato là, salire su di un pullmino in direzione delle montagne proprio sopra Plovdiv e inforcare le cuffie per ascoltare nel lungo viaggio il degno sottofondo musicale per la prossima meta.
Parte quarta - Escape (the piña colada song), Rupert Holmes
Sul pullman non ci sono soltanto gli Otto, ma la compagnia si è ingrandita: verranno con noi all’Hotel Zdravetz, un posto isolato tra le montagne ma dotato di tutto quello che si può desiderare, specialmente per uno sportivo, anche i bulgari Alex, Ned, Stelko e Yanaki e le bulgare Rumiana e Mihaela. Il gruppo è destinato però a espandersi ancora, perché all’hotel arrivano altri giovani dalla Bulgaria e dal resto del mondo: Mary e Hristian sono del posto, Alicia viene dalla Spagna, Augustina e Manuel dall’Argentina, Kshitji dall’India e Luca dall’Italia. E lì l’obiettivo non è tanto farci apprendere qualcosa in più sulle bellezze dello stato bulgaro, quanto farci provare tante più diverse esperienze possibili da fare tutti insieme, di modo che alla fine potremo diventare (e lo siamo diventati) non più un amalgama indistinto di diverse culture, ma invece un gruppo ben coeso dove le diversità si fondono l’une con le altre. Proprio come il protagonista della canzone Escape ho avuto modo di “fuggire” per una settimana dalla quotidianità e fare esperienze che mai potrò più fare nella vita. Certo, il protagonista del brano sogna di bere piña colada e champagne in un paradiso tropicale, eppure credo, a mio avviso, di aver fatto di più: dove mai potrò prendere lezioni di yoga alle 8 del mattino da un vero indiano? Solo tra le sperdute montagne bulgare; dove potrò rifare la sauna con delle finlandesi che ti spieghino come farla veramente, oppure sfrecciare con dei monopattini assieme a una spagnola, cavalcare assieme ad una olandese (e per essere ancora più mondiali, il cavallo si chiamava Barça), sorseggiare succo d’arancia e discutere intellettualmente sul sistema scolastico con un argentino, giocare a badminton con una lituana, perdere a scacchi con un bulgaro, vincere (barando, lo ammetto) una staffetta Italia vs Latinoamerica, cantare la sera tutti insieme attorno al fuoco le canzoni tradizionali di ogni paese sgranocchiando le pagnotte da noi preparate e appena sfornate? Ancora, questo poteva accadere solo tra le sperdute montagne bulgare. Capisci solo alla fine che le diverse culture non sono per niente un ostacolo, e che sotto sotto siamo tutti ragazzi allo stesso modo. La mondialità non è un’utopia, basta solo gettarsi le spalle i pregiudizi: perché non è vero che tutti i bulgari sono degli slavoni tutto muscoli e niente cervello, perché non è vero che i finlandesi sono freddi e rigidi nelle relazioni, perché non è vero che quella italiana è la cultura migliore del mondo. Sembra buonismo da film, dire che dei perfetti sconosciuti sono riusciti in una settimana a legare così tanto e a mettere da parte tutte le loro differenze. Eppure è questo che, con mia somma meraviglia, dato che io stesso ero il primo a essere incredulo, è accaduto. Ma come tutti i film anche questo fantastico lungometraggio di una settimana è destinato a finire. Dopo un paio d’ore di viaggio, la compagnia è tornata dove tutto era partito, in aeroporto a Sofia. E mentre le lacrime rigano i volti di tanti miei amici, penso che sia il momento giusto per una canzone straziante che sia evocativa del momento.
Ultima parte - The last Goodbye, Billy Boyd
L’alone di tristezza è palpabile perché si teme di non rivedersi mai più. E probabilmente sarà così, perché proveniamo dai quattro capi del mondo, ma chissà, forse un giorno... Così come Billy Boyd canta il suo addio (cinematografico) alla favolosa Terra di Mezzo e ai compagni che hanno percorso la strada con lui, così noi diciamo addio alla meravigliosa Bulgaria e al carico di esperienze che ha portato con sé, ma soprattutto ci salutiamo come compagni di un cammino insieme, un cammino che ora si divide e porta ciascuno verso una destinazione diversa. Mentre aspetto sei ore in aeroporto, tra una corsa coi carrelli con Alicia e un caffè con Ned, e tra gli infiniti e lacrimosi abbracci tra di noi (caspita se sembra un film, ci sono pure le coppie che si separano), ho tempo per tirare le somme del mio viaggio. Ripensando a 14 giorni prima sono cambiato, profondamente cambiato: ora penso diversamente, agisco differentemente, mi pongo e mi relaziono in un modo tutto nuovo. Alla fine non sono triste, era inevitabile che anche questa avventura finisse, ma sono immensamente felice di averla iniziata. Rido al pensare che ero scettico riguardo a questo viaggio, che in fondo un po’ di paura ce l’avevo: tutto completamente ingiustificato. E ora mi volto verso i miei compagni d’avventura, e davvero abbiamo vissuto qualcosa di indimenticabile. Forse non ci rincontreremo mai, ma saremo indissolubilmente legati dalle esperienze che abbiamo sostenuto assieme.
To these memories I will hold/ With your blessing I will go/ To turn at last to paths that lead home/ And though where the road then takes me/ I cannot tell/ We came all this way/ But now comes the day/ To bid you farewell... (Questi ricordi manterrò/ con la vostra benedizione me ne andrò/ per imboccare infine sentieri che portano a casa/ e dove mai mi porteranno queste strade/ non posso dirlo/ siamo venuti tutti di qui/ ma è giunto il dì/ di dirvi addio...)
E’ quello che penso, mentre passo il check-in e salgo sull’aereo.
“Per fortuna questi aerei fanno una sola fermata, così posso dormire senza preoccupazioni durante il viaggio”, penso, e prima di addormentarmi do uno sguardo al finestrino e penso all’ultimo verso della canzone “I bid you all a very fond farewell” (auguro a tutti un grande e appassionato addio) ... ma forse questo non è un addio, è un arrivederci.
In ultima battuta, vorrei esprimere il mio profondo grazie alla Delegazione Lions di Lodi, che ha voluto offrirmi questa splendida opportunità, e alla Delegazione Lions di Plovdiv e di Svilengrad, che mi hanno accolto e organizzato tutte le attività descritte qua sopra. Il mio ringraziamento si estende a tutta l’Associazione, nella speranza che il mio gradimento e la mia gratitudine incentivi ancora di più a proporre ad associati ed esterni queste occasioni, veramente uniche.
Zdraveite.