L’esperienza che ho avuto il piacere di vivere attraverso il Lions Exchange, è stata una delle esperienze più belle, complete, gratificanti e piene di emozioni che abbia mai vissuto. Vedere un altro paese, toccare con mano una diversa cultura; una cultura così lontana come quella Brasiliana, è stato un vero onore, per non parlare di tutte quelle persone che giorno dopo giorno hanno contribuito ad arricchire, ciò che ormai si stava trasformando in quell’immenso bagaglio culturale, che avrò la fortuna e il privilegio di portarmi avanti per il resto della vita.
Visitare un paese straniero non è mai una cosa semplice, soprattutto all’inizio; quando quel senso di smarrimento e solitudine, fatica a lasciare libera la nostra mente di viaggiare ed assorbire il più possibile questa nuova cultura.
Ed è così che il 6 luglio la mia prima esperienza così lontano da casa è cominciata, alla volta del Brasile, una terra così lontana, quanto bella, detto col senno di poi. Iniziò così; da solo, in aeroporto con i miei bagagli; prevalentemente ricolmi di speranza, eccitazione, ma direi soprattutto di paura; che mi sono sentito realmente al mio posto ed in pace; come se quello fosse davvero il posto in cui dovevo essere in quel determinato momento.
Ed è davvero così; un inizio semplice ma pieno di emozioni.
Una delle cose che mi spaventavano di più, erano quelle dodici ore di aereo, da Roma a San Paolo. Ne ero impaurito, perché fino a quel momento, avevo sempre pensato al volo, come una parte separata dal vero e proprio viaggio.
Devo dire che la mia opinione è cambiata radicalmente; sarà che in entrambi i voli, ho avuto la fortuna di passare il mio tempo insieme ad altre due italiane, che poi sarebbero diventate anche mie compagne di campo, ma forse è proprio grazie a quelle prime ed anche ultime dodici ore che questo viaggio è stato quello che è stato. Sceso dall’aereo devo dire di aver trovato una sorpresa che in generale, i viaggiatori non gradiscono; uno dei miei bagagli non era arrivato; chiedendo spiegazioni all’ufficio preposto, sono arrivato alla conclusione che nemmeno loro sapevano dove fosse finito, ma tutto è bene ciò che finisce bene, e dopo alcuni giorni ne sono tornato in possesso.
La famiglia già dal primo momento mi ha accolto come fossi uno di loro; devo dire che mi hanno aiutato in tutto, dal comprare il semplice souvenir nel negozietto di artigiani, alla ben più complicata ricerca della valigia. Le giornate volavano insieme a loro, mi hanno fatto visitare diverse città e luoghi turistici; hanno addirittura trovato il modo di incastrare alcune uscite con le italiane, con cui sono stato in aereo, per farci sentire più a casa. La cosa bella dello stare in famiglia è proprio ritrovare una diversa quotidianità; capire gli usi e i costumi ed in qualche modo arrivare ad assorbire quella cultura, che lascerà un segno indelebile nella nostra anima. Ho passato quindi le tre settimane successive con la famiglia e senza accorgermene era già il momento di abbandonarla per cominciare l’esperienza del campo, dalla quale saremmo dovuti tornare alcuni giorni dopo la sua chiusura; per poi prendere il volo di ritorno.
La vita al campo era totalmente diversa forse meno libera di quella in famiglia ma sicuramente altrettanto bella. Ho avuto la fortuna di conoscere 20 persone meravigliose; di 15 diverse nazionalità e provenienti da tre diversi continenti; una cosa che ho imparato? Siamo tutti uguali nella nostra diversità; si sembrerà una cosa scontata da dire, ma pensare che siamo tutti uguali fa ormai parte della nostra cultura; nel momento in cui ti trovi davvero a contatto con così tante persone, con culture diverse ti rendi davvero conto che sono poche le cose che realmente conosci; ti rendi conto che quelle culture che tanto ritieni lontane, in realtà ti sono più vicine di quanto tu abbia mai immaginato e viceversa.
Le giornate nel campo passavano ancora più velocemente, tra divertimento ed anche tanta stanchezza dovuta alle nottate passate quasi del tutto insonni. È passato così velocemente che in un battito di ciglia era già ora di tornare dalla famiglia, ormai tutti con la consapevolezza che tutto questo stava per terminare, che non mi sarei più svegliato con il padre ospitante che mi chiamava per colazione e che sarei tornato ad andare a letto senza più ringraziare mio fratello per la magnifica serata che mi ha fatto passare, in compagnia degli amici; per non citare quelle magnifiche ore di viaggio passate a ridere con i compagni del campo, su un pulmino con un autista a dir poco esilarante. Ma le cose belle, ci insegnano fin da bambini, che devono avere una fine e così anche la nostra esperienza. È finita si, ma in un pianto generale, tra chi si prometteva che ci saremmo rivisti e chi piangeva e basta. Salutare le famiglie non è stato più facile devo dire; ma con un po’ di coraggio, io insieme alle altre due italiane abbiamo trovato la forza di andare verso quelle magnifiche ultime ore di aereo prima di separarci definitivamente a Roma, per poi incontrarci nuovamente, in un futuro spero prossimo. E quindi allo stesso modo in cui è iniziata questa esperienza; è anche finita, lasciando però un macigno di esperienze sulle mie spalle che non mi dimenticherò mai e che mi saranno utili per sempre.
Se qualcuno dovesse chiedermi che cosa cambierei di questo viaggio, risponderei, sicuramente nulla, tutto è stato perfetto nella sua imperfezione.