14 Luglio 2019, ore 4.00: giorno della partenza, giorno cruciale.
Indosso la mia maglia blu, il mio zaino, un auricolare all’orecchio con le mie canzoni preferite per allontanare le lacrime e conservo nella tasca un pacchetto di fazzoletti di riserva per gli sfoghi indesiderati.
Due parole di conforto, una coccola, un sorriso finto; così lascio i miei genitori guardarmi, mentre faccio ingresso nella zona di controllo dell’aeroporto di Bologna.
A noi tre: io, volo e biglietto aereo.
Approdata all’aeroporto di Helsinki per l’ora di pranzo, sperimento il mio inglese frammentario con la barista del bar in cui ho la mia prima colazione, poi con la responsabile del campo Lions finlandese che mi manda ulteriormente in confusione parlandomi in italiano.
Aspetto meno di un’ora per incontrarmi con la mia “guest sorella”, la ragazza svizzera con cui avrei condiviso non solo l’esperienza al campo, ma anche la host family.
Si chiama Fabienne: espansiva, gioiosa e chiacchierona; ovvero tutto ciò che non sono io ad un primo incontro con uno sconosciuto mentre cerco di prendere dimestichezza con le mie primitive conoscenze di inglese.
Affrontiamo assieme un viaggio di quattro da Helsinki a Jyväskylä, città di cui ho dovuto chiedere la pronuncia almeno 4 volte lo stesso giorno, nel silenzio dei nostri telefoni e delle conversazioni imbarazzate dagli argomenti più svariati.
Poi, accolte da una ragazza e da una signora con due cartelli con i nostri nomi, ci dirigiamo verso la nostra host sorella minore e verso la nostra host madre, che ci trattano come se ci conoscessero da una vita.
Durante il tragitto da Jyväskylä a Sumiainen, il villaggio in cui avremo passato due settimane in compagnia di tutta la host family, le parole escono a fiumi dalle nostre bocche e loro bevono la nostra acqua densa di avventure di viaggio e di vita quotidiana dei nostri Paesi d’origine.
La cittadina è poco popolata ma molto pacifica: la casa di due piani affaccia su un lago, c’è una casetta per la sauna, una barca a remi, un motoscafo per la pesca e un giardino immenso.
A qualche chilometro dalla casa c’è anche la foresta dell’host padre e anche un cottage ricavato dal legno dei suoi alberi e arredato per le nottate con i suoi amici nella zona di caccia.
In queste due settimane di soggiorno presso la mia seconda famiglia, perché non esiste altro modo per chiamarla, ho vissuto a stretto contatto con la natura visitando isolette nei dintorni di casa, sperimentando saune e bagni nel lago, andando a pesca almeno tre volte alla settimana supervisionata da un fierissimo host padre, visitando gallerie d’arte private, provando cibi e caramelle tradizionali, arricchendo il mio vocabolario basico di finlandese e imparando poesie e canzoni folk nell’idioma.
Così, a distanza di quattordici giorni di piena vita a Sumiainen mi ritrovo giusto a pochi chilometri dal villaggio, nel campo di Marjoniemi a Uurainen: esteso, organizzato e confortevole.
La zona è suddivisa in 3 grandi edifici: un dormitorio femminile, uno misto unito ad una cucina e ad una sala comune e una grande casa gialla dalle tavolate chilometriche per i pasti in compagnia tra di noi.
Con “noi” si intende un gruppo di 26 persone da 17 parti differenti del Mondo, con credo diversi e tradizioni differenti, precisamente dall’Italia, dalla Germania, dal Giappone, da due zone linguistiche della Svizzera, dalla Finlandia, dall’Olanda, dal Belgio, dall’Ungheria, dalla Serbia, dalla Croazia, dalla Repubblica Ceca, dalla Slovacchia, dall’Austria, dalla Francia, dalla Cina, dalla Turchia e dall’Israele.
Ho iniziato a legare con i miei compagni di viaggio intorno al quarto giorno ma come si dice “meglio tardi che mai”: quando la timidezza ha lasciato spazio per l’amicizia è stata una escalation di momenti unici.
Poi è arrivato il momento di salutarsi e per la nostra ultima notte assieme eravamo ancora fuori dalle stanze del dormitorio a supportare moralmente i cinque ragazzi che da un momento all’altro avremo visto entrare nelle macchine che li avrebbero condotti al cancello d’uscita del campo; poi abbiamo finito nell’abbracciarli e piangere tra di noi, pensando al fatto che molto difficilmente esisterà un’altra occasione che ci vedrà di nuovo tutti riuniti.
Non ho scattato tante foto con la mia macchina fotografica o catturato molti più momenti di quanti volevo con il semplice clic della mia macchina fotografica ma conservo tutt’ora grandi memorie di anche piccoli gesti che in un modo o nell’altro hanno fatto di me una cittadina del Mondo… letteralmente!