Un saluto da 33008 piedi d’altezza. In questo momento mi trovo sul volo di ritorno da Seattle diretto a Francoforte. Mi aspettano ancora altre 8 ore e 43 minuti di crociera, ma stavolta, a differenza di quello di andata, la compagnia aerea ha deciso di trasmettere come intrattenimento per il tragitto un film decente!
Ad ogni modo, cominciamo da zero.
Mi chiamo Emanuele Benvenuti, ho 18 anni e sono uno studente del primo anno di Medicina e Chirurgia a Roma.
Grazie al Lions Club ho avuto la possibilità di spendere un mese delle mie vacanze estive nello stato di Washington, a nord-ovest degli Stati Uniti d’America. In realtà la mia prima scelta era il Giappone, ma, a causa di impegni personali, le mie date di partenza non corrispondevano con i periodi in cui i nipponici ospitavano i ragazzi; tuttavia gli USA erano la mia seconda scelta dato che volevo allenarmi un po’ con l’inglese e, fortunatamente, sono stato accontentato (la mia terza ed ultima scelta era l’Irlanda perché lì la birra è buona, ma dato che ci è proibito consumare alcolici durante questi viaggi sono contento di non esser capitato lì).
Ho trascorso le prime due settimane a Newman Lake, vicino Spokane, presso la famiglia Smith: Christy e Dave. I miei “host parents” sono stati molto gentili con me e, assieme a loro, ho visitato il Glacier National Park, nello stato del Montana, dove abbiamo soggiornato in un camper alquanto grandioso e super attrezzato! Pensate che la prima sera abbiamo visto il film “The Matrix” su uno dei suoi televisori!
Parlando di cose “serie” il parco nazionale mi ha colpito molto, non solo per i paesaggi che ho potuto ammirare, ma piuttosto per la fauna locale che, come ospite speciale, comprende anche l’orso bruno. I miei genitori non hanno saputo di questa “guest star” fino al mio rientro a casa (potete facilmente immaginare la loro unica possibile reazione) ma ero armato di campanelli e spray anti-orso. Tuttavia, non ho avvistato nessun esemplare di questa specie, ma in compenso ho potuto assaggiare una bacca selvatica chiamata Huckleberry per la quale i nostri amici dal pelo marrone vanno parecchio ghiotti.
Ho anche mangiato una torta e bevuto una limonata entrambe a base di Huckleberry e devo ammettere che erano proprio squisite. Sapendo che tornato a casa avrei affrontato l’esame pratico per il conseguimento della patente di guida, Christy e Dave mi hanno fatto allenare, nel parco dove il camper era parcheggiato e a casa loro, con la Jeep.
Con questa abbiamo raggiunto il Logan Pass, in cima al parco nazionale. Devo ammettere che è stato molto interessante scoprire che qui, in passato, era possibile ottenere la patente di guida già a quattordici anni, cosa che Christy ha fatto! Inoltre, in tutto il mese trascorso non ho visto una, e dico una, macchina con il cambio manuale… ne deduco, da ciò che tutti mi hanno raccontato, che per loro è il demonio.
Ho dimenticato di dire che assieme a Christy e Dave, nella loro casa, c’è un personaggio molto affettuoso e giocherellone: si chiama Ruby ed è il loro cane che fin dal mio arrivo mi ha fatto un sacco di feste al punto che abbiamo dovuto mettere un cancelletto di legno per evitare che mi venisse a trovare di notte in camera.
Ammetto che un po’ mi manca.
Assieme a loro ho anche visto una diavoleria futuristica di cui non avevo mai sentito parlare: un cinema in cui le poltrone possono reclinarsi e diventare dei lettini. La cosa può essere utile se il film che si sta vedendo è interessante come Spiderman, ma, qualora fosse soporifero, nulla esclude che qualche spettatore inizi a ronfare. Come molti già sapranno nella patria della libertà procurarsi delle armi è facile come premere il pulsante “easy” in un negozio di forniture per ufficio anche se in ogni luogo pubblico si trova un cartello che dice “Free weapons area” (area senza armi). Quindi non poteva mancare una visita ad un negozio di armi molto famoso chiamato Cabellos che vende un po’ di tutto per la caccia e la pesca. Lì l’artiglieria è esposta come se fosse una serie di buste di patatine in una bottega di generi alimentari, con la differenza che qui c’è un piccolo foglietto che avvisa che bisogna avere più di dodici anni per prendere in mano un fucile.
Ovviamente in questo posto vengono anche esposte delle armi particolarmente belle e/o antiche come fucili della seconda guerra mondiale o di due secoli fa. Questo posto viene anche chiamato “Zoo degli animali morti” perché è pieno di fauna locale impagliata e classificata. Si possono trovare ovunque: su una parete o su una montagna artificiale nel centro del negozio.
Assieme a Christy e Dave ho partecipato ad una lezione di fotografia tenuta in un Apple Store che mi ha insegnato a fare ritratti non banali con un semplice cellulare.
Dopo due settimane, mi sono trasferito da Spokane a Seattle assieme a Pat e Dave Gorton, amici della mia prima host family, che mi hanno accompagnato a Seattle in macchina. Il viaggio, durato la modica cifra di un giorno, ha compreso anche alcune visite turistiche alla diga e centrale elettrica di Grand Coulee e al museo degli indiani d’America lì vicino. Arrivato a Seattle ho cenato assieme a loro in un ristorante italiano il cui chef è cinese, che cocktail interessate! Ho avuto la possibilità di visitare lo Space Needle, l’emblema della città, il Museo del vetro e Pikle Place Market, un mercato famoso per il lancio del salmone: quando qualcuno ne chiede uno al cassiere, un assistente glielo lancia dal bancone e lui lo prende al volo e lo impacchetta per bene. Di fronte al mercato c’è anche il primo Starbucks mai aperto, dove per prendere un caffè bisogna fare una fila di diverse ore, anche se è esattamente identico a quello che si può trovare nello Starbucks a 3 minuti a piedi nell’altro isolato.
A Seattle ho fatto la conoscenza di Deb e Audrey Krishnadasan, rispettivamente host mother and sister della terza famiglia che mi ha ospitato negli USA, e -Maggie, il loro cane che, data la sua natura, mi ha abbaiato fino al terzultimo giorno di permanenza. Mi hanno spiegato che i cani della sua razza vengono usati in Africa per allontanare i leoni dai villaggi spaventandoli, ma che non sono bravi a mordere e/o cacciare. Infatti ogni volta che provava ad inseguire un coniglio o uno scoiattolo lasciava miseramente fuggire la preda (Deb è convinta che lo faccia apposta, però). Assieme a loro ho preso un traghetto per la penisola Key, dove si trova Gig Harbor, la città in cui sono stato le altre 3 settimane, nei pressi di Tacoma. A casa loro ho fatto la conoscenza di Baiya, host father, e di Alec e Gab, due host brothers. In questo “secondo tempo” del mio soggiorno ho avuto la possibilità di vedere come si vive nella parte ovest dello stato di Washington. Tra le esperienze più particolari che ho vissuto ricordo: una partita di baseball dei Mariners, la squadra professionale di Seattle, un po’ di voga su una paddle board nel porto della città (per chi come me non sapesse cos’è si tratta di una sorta di tavola da surf molto più lunga e pesante che si muove con un solo remo, ma attenzione che è impossibile andare dritti su quei cosi, eh) e una visita alle università di Washington a Seattle e di Puget Sound a Tacoma. Poi, insieme a Hugh McMillian, un socio Lion che ho conosciuto tramite una riunione del Club a Gig Harbor, ho visitato la scuola media Stewart e la scuola superiore Lincoln a Tacoma, dove Hugh si è diplomato rispettivamente 78 e 75 anni fa. I loro campus sono sì bellissimi ma alquanto ENORMI (ricordate questa parola). Ovviamente non sono mancate attività culturali: ho visto il museo di Gig Harbor, dove ci sono i resti di un ponte sospeso crollato a causa di un forte vento quattro mesi dopo la sua inaugurazione e il Forte Nisqually, un insediamento rurale dei primi abitanti dell’area. Altre attrazioni che mi hanno colpito particolarmente sono il destroyer americano Tuner Joy, la nave da guerra che ha sparato l’ultimo colpo della guerra in Vietnam, e il museo d’arte di Tacoma dove, all’ultimo piano, vi è una sezione dedicata interamente ai treni, dato che Tacoma è stata uno dei punti chiave della Northern Pacific Railway. Quest’ultimo posto mi è stato mostrato sempre da Hugh che ama moltissimo i treni. Infatti, egli ha recuperato uno dei primi vagoni di questa importantissima rete ferroviaria e lo ha restaurato e trasformato in una casa per gli ospiti molto suggestiva che tiene in giardino su delle vere rotaie. Questa non è l’unica cosa stupefacente della sua casa in cui ha ricreato una stanza tradizionale giapponese dove si può dormire e prendere il thé come i nipponici insegnano. Poi, assieme a George Robinson, il responsabile del service scambi giovanili per il Club Lions di cui fa parte, e sua moglie, ho preso parte ad un service presso un centro di raccolta e smistamento di occhiali usati, dove ho avuto la possibilità di imparare a misurare la gradazione delle lenti da vista. Lo stato di Washington, trovandosi all’estremo ovest del Paese, è bagnato dall’Oceano Pacifico e, ovviamente, non è mancata l’occasione di andare sulle sue spiagge! Ho trascorso un weekend a Seabroock, una cittadina nata da pochi anni, dove ogni casetta ha un nome. Lì l’oceano è sempre agitato, come se fosse mosso costantemente da una turbina che genera onde e ho avuto modo di osservare una specie di artropodi molto curiosa per la sua anatomia chiamata pedunculata, che si è trasferita in America dal Giappone dopo lo tsunami del 2011. Lì siamo stati ospitati da Rosemary, madre di Deb, e assieme ci siamo intrattenuti con giochi da tavolo molto popolari in America come Catan. Ho tralasciato di dire la cosa per me più importante, cioè che Baiya Krishnadasan è un chirurgo toracico presso il St. Joseph hospital di Tacoma e, grazie a lui, ho avuto la possibilità di assistere a due suoi interventi chirurgici, bardato con camice e mascherina. Il primo eseguito in laparoscopia e l’altro effettuato con il robot Da Vinci Xi, un robot che ha 4 braccia e che viene controllato da una console con una visione 3D da parte del chirurgo. Questo dispositivo consente di eseguire interventi che altrimenti sarebbero molto pericolosi e complicati azzerandone quasi del tutto i rischi e i tempi di recupero del paziente. Il dottor Krishnadasan usa questa tecnica da molti anni e la insegna anche ai giovani medici. Neanche a dirlo: nonostante sia una cosa molto triste per i pazienti sottoposti agli interventi, per me era il paradiso! Ricordo che Deb, una volta finita la mia esperienza nell’altro mondo, mi ha chiesto se avessi ancora intenzione di fare medicina. La mia risposta: “Ora ancora più di prima!”.
Ovviamente nessuno scambio culturale sarebbe completo se non si condividono anche le ricette preferite: le mie host families mi hanno fatto provare diversi cibi tipicamente americani dai marshmallows arrostiti sul fuoco con biscotti e cioccolato agli hamburgers, al caffè lungo con creme di diversi gusti, alle salsicce con uova strapazzate la mattina a colazione, al barbecue americano, alle costolette di maiale, ai corndogs e agli hot dogs serviti con patatine fritte all’aglio, ketchup e mostarda, consumati in uno stadio di baseball. Ovviamente, in qualità di italiano, campano per giunta, ho sentito l’obbligo morale di far assaggiare loro la vera pizza italiana.
Ho spiegato loro che sulla pizza non ci si mette l’ananas (interessante notare che hanno un’attività chiamata Speech and Debate, letteralmente discorso e dibattito, confronto in cui due gruppi di ragazzi discutono un argomento e si schierano a favore o contro una determinata questione, e uno degli argomenti affrontati da Audrey in uno di questi incontri aveva come nome “Pineapple on pizza: yes or no?” Che significa “Ananas sulla pizza: sì o no?”). Quindi una sera per cena ho preparato diversi tipi di pizza e sono rimasti colpiti dal fatto che ci possano essere pizze senza salsa di pomodoro come base. La loro preferita è stata quella wrustel e patatine, combo a loro sconosciuta, che in un primo momento erano molto riluttanti a sperimentare, ammettendo però alla fine che era veramente super! Quando dovevamo comprare gli ingredienti e ho detto a Deb che servivano le patatine fritte, mi ha guardato con una faccia interrogativa misto “chiamo lo psichiatra” e mi ha chiesto: “Ma tipo quelle del McDonald?” E con sua grande sorpresa la mia risposta è stata affermativa.
Usando una frase molto comune, quest’esperienza mi ha insegnato moltissimo. Non solo ho avuto modo di conoscere una realtà che, per quanto simile alla nostra, non si può comprendere se non la si vive in prima persona, ma ho potuto trascorrere del tempo con persone veramente straordinarie e imparare tanto da loro. Devo ammettere che l’idea che si ha degli Stati Uniti come di un paese non perfetto, ma comunque migliore del nostro, per me è sbagliata. Hanno i loro problemi. Ad esempio, nella prima settimana del mio soggiorno, ci sono state tre diverse sparatorie, incendi a non finire e, dulcis in fundo proprio adesso che sto tornando a casa un uragano sta per colpire il sud di questo Paese. Ovviamente ci sono anche lati positivi del loro sistema. Le scuole offrono molte più possibilità agli studenti anche se, secondo me, tolgono del tempo allo studio, e incitano allo spirito di gruppo invece che all’individualismo agonistico. Inoltre, per quanto possa sembrare strano, questo viaggio mi ha insegnato a guardare all’Italia in modo diverso, nel bene e nel male.
Una considerazione alquanto materialistica: negli USA tutto è molto più grande e veloce. Un pasto dura al massimo mezz’ora, le porzioni sono enormi e quasi impossibili da finire e i loro negozi, da quello di generi alimentari al centro commerciale, sono giganti rispetto ai nostri. Le auto sono prevalentemente dei fuoristrada. Indovinate come???? Enormi! Tuttavia, ho notato con molto piacere che, nonostante qui non esista la raccolta differenziata, molti guidano una Tesla, macchina elettrica progettata e prodotta da Elon Musk o una macchina ibrida. D’ora in avanti l’aggettivo “americano” nel mio vocabolario indicherà tutto ciò che è più grande e veloce di quello che si sperimenta di solito.
In conclusione, l’esperienza di exchange fatta con i Lions che sto finendo or ora di vivere, qualunque sia la destinazione e la durata, è una cosa fantastica dal momento che, essendo noi ragazzi ospitati da famiglie, viviamo assieme a loro 24 ore su 24 e quindi ci immergiamo completamente nella loro routine quotidiana e nel loro stile di vita, altrimenti impossibile da sperimentare sulla propria pelle. Non avendo vissuto l’esperienza campo credo di aver perso un po’ l’internazionalità di questo programma, ma nonostante ciò ho compreso, dato che gli Stati Uniti per storia, cultura e società sono una nazione crocevia di popoli e culture, che nulla è diverso rispetto a quello che si può trovare in Italia, in India, in Congo o da qualsiasi altra parte. Gli esseri umani con i loro pensieri, emozioni, sentimenti possono cambiare solo nella forma esteriore, ma ciò che li spinge ad agire rimane lo stesso. Bene! Spero che questo report possa farvi provare almeno lo 0,0000001% delle emozioni che ho vissuto io negli Stati Uniti e vi saluto da 35010 piedi di altezza e da un volo che arriverà tra 6 ore e 5 minuti augurandovi di poter vivere anche voi un’esperienza del genere, da adolescente in viaggio o da famiglia ospitante.