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Quando Maria Martino mi ha proposto l’India come meta per gli scambi giovanili di quest’anno mi ha lasciata completamente spiazzata.
Con un po’ di titubanza iniziale ho accettato, mi sono detta che ad ogni modo sarebbe stata un’esperienza forte.
A poche settimane dal mio ritorno non posso che confermare il mio pensiero iniziale: se decidi di partire per l’india devi essere pronto ad adattarti a tutto perche vieni catapultato completamente in un altro mondo. Perche l’india è un altro mondo, non ha niente, o veramente ben poco, a che vedere con l’occidente ma che ha tanto da offrire se si è preparati ad accettare la loro cultura, il loro modo di vedere le cose-condizionate dal loro forte credo-le loro tradizioni,le sostanziali differenze che ci sono tra noi e loro.

Il mio viaggio alla volta di questo meraviglioso paese comincia il 15 luglio.

Appena arrivata, l’umidità mi ha dato il benvenuto-per i miei ricci e gli occhiali sicuramente un punto dolente- la moquette negli aereoporti mi ha lasciato un po’ perplessa, i prezzi bassissimi mi hanno lasciata sbalordita e l’accento degli indiani quando parlavano inglese cominciava a darmi un po’ di difficoltà.
E questo era solo l’inizio, le mie primissime impressioni ancora prima di uscire dall’aereoporto.
Da Delhi sono volata a mumbai dove ad aspettarmi c’era la famiglia indiana che mi avrebbe ospitata per una settimana e alla quale in cosi poco tempo mi sono affezionata tanto. Per gli indiani l’ospite è una cosa sacra, paragonabile a un Dio, questo è il presupposto per tutto cio che segue. Appena uscita dagli arrivi ho riconosciuto subito la mia mamma e i gemelli, mi hanno accolto con un grande abbraccio che mi ha fatta sentire a casa, subito dopo non hanno perso tempo e mi hanno messo della tempera rossa sulla fronte, ci hanno buttato del riso sopra e poi dei petali di rosa, mi hanno messo una ghirlanda di fiori al collo e mi hanno spiegato che è una tradizione e che era il loro gesto di benvenuto per me nella loro famiglia e nel loro paese.

La mia famiglia ospitante viveva a Pune, città che sulla carta dista due ore da mumbai.
Sulla carta perché grazie al traffico indiano ci abbiamo messo ben cinque ore per raggiungerla. Il primo impatto che ho avuto dopo essere uscita dal parcheggio dell’aereoporto è stato forte e anche un po’ destabilizzante ad essere sincera. Il modo di guidare degli indiani è assurdo. Innanzitutto non seguono file, guidano contromano come fosse una cosa normale, il clacson è indispensabile per loro –quando sono ritornata in italia mi sembrava strano non sentire più il suo rumore- non si fermano se il semaforo è rosso, su un motorino ci stanno comodamente 5 persone ed essere in macchina è come essere sulle montagne russe,in più per attraversare la mia mamma mi dava la mano e potevano passare anche 5 minuti prima che qualcuno si fermasse per farci attraversare. La settimana trascorsa in famiglia è stata intensa e davvero istruttiva. Ho imparato ad apprezzare le piccole cose, perché gli indiani sono così, il loro motto è “enjoy” – mi hanno anche detto “enjoy this beautiful weather” quando fuori diluviava incessantemente da giorni. Essendo in india la stagione dei monsoni la pioggia e l’umidità facevano da cornice alle mie giornate. Ho imparato ad essere paziente perché gli indiani e l’orologio non vanno assolutamente d’accordo. Ho imparato che per loro la religione è un aspetto fondamentale nella vita di tutti i giorni, sono stata in vari templi hindu rigorosamente scalza, cantando e ballando in onore di Ganapati.

Giulia1.2

Ho mangiato, in piatti fatti con foglie tenute insieme da uno stuzzicadenti, chapati e salse piccanti praticamente ogni giorno fino al punto che la notte lo stomaco mi bruciava . Ho capito quanto fortunati siamo noi rispetto alla maggior parte di loro. L’impattò con la povertà è straziante. Bambini piccoli, con pochi vestiti addosso, che in strada –strade pericolosissime- circondavano la nostra macchina e bussavano al finestrino toccandosi lo stomaco e poi la bocca. In india non esiste la classe media, c’è un brutale distacco tra famiglie ricche, con autisti e servi, e famiglie povere, che non hanno niente, nemmeno una casa. Nelle grandi città ho visto palazzoni, grattaceli affiancati a baracche tutte addossate, senza muri, il tetto di una era l’entrata per un’altra, gli indiani le chiamano slums ma sono praticamente uguali alle favelas.

Ho imparato a vestirmi come loro, ho comprato il sahari in un negozio di stoffe. Ho imparato a non stranirmi se vedevo mucche, scimmie maiali, cammelli girare indisturbati per le strade. Ho imparato a voler bene a persone in così poco tempo.

Dopo aver salutato quella che era diventata la mia seconda casa sono partita per il campo itinerante.

Ho rincontrato Francesco che è stato il mio compagno di viaggio e con il quale ho condiviso la maggior parte della mia esperienza, ho conosciuto Mattia che da quel giorno si è affiancato a Francesco e 18 altri ragazzi che da perfetti sconosciuti sono diventate persone che porterò sempre nel cuore e che faranno parte dei miei ricordi insieme a Uma, la simpaticissima camp director e tutti i Lions che abbiamo incontrato nel nostro viaggio.

Abbiamo visitato alcune delle città più belle dell’india tra cui mumbai Jaipur Udaipur e Agra dove abbiamo visto il Tajj Mahal. Inutile dire che quello era il momento più atteso da tutti e che la bellezza del Taj supera tutte le aspettative e ti lascia sbalordito.

A fine campo eravamo persone diverse da come eravamo arrivate, perché l’india ci ha fatto crescere.
Ringrazio i lions per avermi dato la possibilità di scoprire questo paese magico, di cui tanto si parla ma poco si conosce e auguro a chiunque di poter vivere un’esperienza come la mia.

Giulia.1

Namastè